O si vince o si muore. Lineamenti interpretativi del Trono di Spade di Giorgia Turnone.
O si vince o si muore.
Lineamenti interpretativi del Trono di Spade
di Giorgia Turnone.
Opera in prevendita
Prefazione
Il 19 maggio 2019 è stato trasmesso in anteprima mondiale il
sesto e ultimo episodio della stagione conclusiva del Trono di Spade (Game of
Thrones): la fine di un ciclo certamente molto atteso, ma non davvero
desiderato. Forse nessuno voleva che terminasse davvero. Per non dover dire
addio ai propri beniamini su schermo, o forse per evitare di conoscere ciò che
rappresentavano, per paura di scoprirsi delusi, da loro e probabilmente, in
parte, anche da chi in questi beniamini ci credeva. Daenerys, la liberatrice di
catene, dà alle fiamme Approdo del Re, in un atto di furia cieca e lucida al
contempo; Jon, l’eroe della storia nonché legittimo erede al trono, condannato
all’esilio e ai rimorsi perenni; Jaime, il cavaliere dal cuore oscuro che
sceglie di morire tra le braccia dell’amata Cersei, negandosi di fatto quella
seconda possibilità che la stragrande maggioranza del pubblico auspicava.
Dove in molti vedevano eroine e paladini, giustizia e
redenzione, bene e male, c’era in realtà “l’unica cosa su cui valga la pena
scrivere: il cuore umano in conflitto con sé stesso”: lo disse William Faulkner
dopo aver ricevuto il Nobel per la letteratura, nel 1949, e George R.R. Martin
(autore de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, ciclo di romanzi ad oggi
incompiuto di cui il Trono di Spade rappresenta la trasposizione televisiva) ne
ha fatto la regola aurea della sua scrittura.
Le origini di questo anomalo fenomeno serietelevisivo
risalgono al 17 aprile 2011, data della messa in onda dell’episodio pilota
della serie sul network americano HBO: un vertiginoso crescendo di consensi da
parte di pubblico e critica ha accompagnato lo show per otto stagioni e
settantratre episodi, ma sarebbe un grave errore giudicare lo statuto
eccezionale del Trono di Spade (e l’eredità che ci lascia) esclusivamente sulla
base degli ascolti record registrati nei suoi anni di trasmissione. Di sicuro
il successo che ha travolto il felice e fortunato adattamento de Le Cronache
martiniane rappresenta un elemento decisivo nel processo di cristallizzazione
del Trono di Spade nell’immortalità della cultura pop quale icona abitante
nell’immaginario di milioni di persone. Non credo sia questa, però, la giusta
prospettiva di analisi di un’opera che ha stravolto gli standard qualitativi
delle serie tv, fenomeno, oggi, assai dibattuto e adeguatamente approfondito
dalla critica di settore.
Le Cronache, dicevamo: che Martin termini o meno quella che
è sicuramente la sua magnum opus, questa non è banalmente, o esclusivamente, la
matrice originaria da cui lo show è tratto; rappresenta qualcosa di più
profondo, la genesi di uno stile, di una personalità, di un senso strutturale
molto complesso e stratificato che il Trono di Spade ha saputo far suo e
tradurre sul piccolo schermo, compensando la densità delle vicende scritte con
una spettacolarità visiva assolutamente rimarchevole.
Il Trono di Spade è impregnato di letterarietà e romanzesco,
e non per il semplice fatto di essere derivato da una saga cartacea, ma perché
nella sua narrazione agisce, fortissima e palpabile, la logica dell’intreccio,
oltremodo intrigante ma potenzialmente rovinosa, in quanto l’accumulo di tante
(e complesse) linee narrative necessita di un sapiente gioco di forze e
tensione dall’impianto straordinariamente solido per non collassare. In questo,
il Trono di Spade è stato ineccepibile: il motore che alimenta gli eventi di
partenza si sostanzia, fondamentalmente, in due “gialli”, due domande a cui
trovare una risposta, forse, correlata:
Cosa si cela dietro la caduta di Bran dalla Torre Spezzata?
Cosa si cela dietro la morte di Jon Arryn, Primo Cavaliere
del re?
Già dall’innesco della trama si nota una certa divergenza
dal tipico canovaccio fantasy, giacché la componente sovrannaturale (l’arrivo
degli Estranei) è relegata a sfondo, oltre i confini della storia (al di là
della Barriera), presente ma, di fatto, impalpabile. Nessun paladino in viaggio
per adempiere ad una missione mortale ed epica. Ci sono solo uomini, ed è
questo che la serie rimarrà: una storia di uomini. Dell’uomo, con i suoi vizi e
le sue virtù. Il Trono di Spade indaga, in maniera invasiva e poco piacevole,
ma anche sincera ed autentica, la dimensione umana a tutto tondo, nelle sue
espressioni più nobili e in quelle più becere. La esplora in rapporto al potere
(politico e non), certamente uno dei temi salienti di tutta l’opera; tra il
lucido e crudele pragmatismo di Tywin, la tirannide di Joffrey, l’inquietante
camaleontismo di Baelish, l’assolutismo di Cersei, ma anche il giustizialismo
ingenuo di Ned e Jon, l’astuta diplomazia di Tyrion e il romantico
indipendentismo di Robb Stark, si palesa allo spettatore un vero e proprio
trattato visivo sull’esercizio del potere, sul suo particolarissimo statuto e
sull’ordinamento politico che ne deriva, e su cui si modellano gli avvenimenti che
seguono.
E ancora: in questa ruvida vivisezione dell’essere umano, di
ciò che più lo anima, di ciò che realmente lo annienta, non potevano mancare
famiglia e amore, così gentilmente adulati nella maggior parte dei racconti,
classici e non. Il Trono di Spade respinge l’idea di (impossibile) perfezione,
dell’amor cortese e stilnovistico, così tanto narrato ed osannato da essere
unanimemente considerato come unico modello possibile, assoluto ed
insindacabile. E così, dopo aver simpatizzato istantaneamente per i valorosi
Stark, nel prosieguo delle stagioni ci si domanda se anche Cersei e Jaime,
gemelli incestuosi uniti da un amore turbolento e passionale, non avessero
diritto ad essere una famiglia, al netto della discutibile scala di valori in
nome di cui agiscono.
Il Trono di Spade sfugge alla logica binaria, demolisce la
presunta superiorità etica dell’eroe (o di chi gioca a riconoscersi come tale)
per esaltare, invece, la sospensione di qualsiasi giudizio morale, il
rovesciamento dello stereotipo e dei tòpoi di genere, la riflessione su ciò che
è comunemente considerato giusto o sbagliato, la complessità dei sentimenti,
insieme puri e bestiali, casti e lussuriosi, motori tanto di vita quanto di
morte. Insomma, il suo universo è intessuto di una ricchezza tematica
squisitamente abbondante, e proprio per questa ragione addentrarvisi è
tutt’altro che cosa semplice. Specialmente se si tiene in considerazione che
Martin, nelle vesti di produttore esecutivo, ha partecipato attivamente (almeno
fino alla fine della quarta stagione) al progetto televisivo, permettendo di
fatto la creazione di nuovi personaggi, eventi e situazioni rispetto ai suoi
libri, e generando in questo modo quasi due realtà parallele, non così diverse
e non così simili.
D’altro canto, la questione riguardante l’adattamento
cinematografico-(serie)televisivo di un’opera letteraria, in merito a cui è
difficile rintracciare un’opinione univoca e armonica, è annosa e tutt’oggi
ancora fortemente trattata. Se è vero che gli adattamenti “sono opere inerentemente
“di palinsesto”, perseguitate ogni istante dal testo che in esse è stato
adattato”, allora il Trono di Spade rappresenta senz’altro un caso abbastanza
singolare, in virtù del fatto che mentre Martin è attualmente impegnato nella
stesura del suo sesto (e penultimo) romanzo, la serie tv si è conclusa nel
maggio 2019; questo pone dunque l’opera-madre in un’insolita posizione vicaria
rispetto allo show tratto dalla stessa. Le prime due stagioni del Trono di
Spade presentano una contiguità tematica abbastanza fedele a Le Cronache del
Ghiaccio e del Fuoco, mentre dalla terza in poi gli sceneggiatori David Benioff
e Daniel Weiss (per tutti ormai D&D) hanno guadagnato sempre maggiore
autonomia, fino a svincolarsi quasi totalmente dalle linee narrative pensate da
Martin. A questo proposito, Poli asserisce giustamente che “dopo le prime due
stagioni si inizia a spaziare da un romanzo all’altro prelevando eventi,
condensandoli, modificandone l’ordine cronologico [si pensi al ritorno di Jaime
ad Approdo del Re: nei libri avviene immediatamente dopo la morte di suo figlio
Joffrey, mentre nella serie tv qualche settimana prima del matrimonio dello
stesso. Questo particolare influisce grandemente sulle dinamiche che muovono il
rapporto sessuale dei due gemelli alla veglia funebre del giovane sovrano]. Le
ragioni sono da attribuire sempre alle diverse necessità narrative: la serie tv
è una forma d’arte diversa dalla letteratura, e in quanto tale ha una vita
propria”. All’altezza della quarta stagione si percepisce chiaramente
un’effettiva discrasia tra libri e adattamento televisivo, questo perché i due
sceneggiatori iniziano a cassare vicende, personaggi e avvenimenti che
avrebbero gravato eccessivamente sulla fruibilità del prodotto, caratterizzato
già di per sé da una trama piuttosto articolata e stratificata. Studiare un
adattamento significa, in un certo qual modo, effettuare anche un’analisi
comparatistica, perché esso può essere a tutti gli effetti considerato come
un’opera a sé stante, con una propria aura, un suo personale hic et nunc di
benjaminiana memoria. Benché i libri di Martin rappresentino, come già detto,
la base su cui lo show si è modellato, l’adattamento televisivo ha assunto
negli anni una certa indipendenza formale; d’altra parte, è intellettualmente
onesto puntualizzare come alcuni dei fattori che hanno contribuito a rendere il
Trono di Spade tra le più riuscite opere televisive della contemporaneità siano
propri della dimensione cinematografica: tra questi, la fotografia,
straordinaria nella restituzione visiva di scene prima naturalmente solo
immaginate, ma non solo, anche l’indovinata scelta del cast, tra vecchie
glorie, volti talentuosi e giovani scommesse.
Questo volume nasce dalla necessità di una riflessione sulla
centralità del rapporto individuo/potere, sulla volontà di autoaffermazione
dell’uomo (corpo sessuato ora regolatore sociale, ora doverosa premessa di
conferma identitaria) e sull’oscena materialità della violenza nella serie,
cercando di delineare una convincente interpretazione delle sue specificità.
Che il Gioco del Trono abbia inizio, dunque.
BIOGRAFIA AUTRICE
Sono nata a Taranto il 14 luglio 1993. Dopo il diploma ho conseguito la laurea triennale in Scienze della comunicazione e dell'animazione socio-culturale e il titolo magistrale in Scienze dell'informazione editoriale, pubblica e sociale con il massimo dei voti presso l'Università degli Studi di Bari "Aldo Moro". Innamorata della Roma, delle meraviglie musicali di Sir Elton John e del Trono di Spade, ho sempre nutrito un interesse particolare per il mondo dell'editoria e della letteratura, sia italiana che straniera. Durante i miei studi universitari ho approfondito l’ambito della cinematografia e, più in generale, quello della cultura visuale; non è un caso che entrambe le mie tesi di laurea abbiano avuto come oggetto il cinema di Kubrick, declinato in prospettiva filosofica. Credo fermamente nel valore della famiglia e nel rispetto delle proprie origini.
Ho da poco sottoscritto un contratto con la casa editrice Bookabook, con cui pubblicherò il mio primo manoscritto. Trattasi di un saggio dal titolo "O si vince o si muore. Lineamenti interpretativi del Trono di Spade", che ha come oggetto l'indagine di alcune delle tematiche (potere, identità, sesso, violenza) da me considerate il cuore pulsante di una serie entrata di diritto nella pop culture (Il Trono di Spade, per l'appunto). Condizione imprescindibile per la pubblicazione, come da contratto, era il raggiungimento di 200 copie preordinate durante una campagna crowdfunding dalla durata di 100 giorni. Giorno 19/03, l'obiettivo dei 200 preordini è stato raggiunto e dunque, anche se la campagna è ancora in essere fino ai primi di luglio, il libro sarà ufficialmente pubblicato (è previsto per dicembre 2023)
Il Saggio uscirà a Dicembre 2023
ma è possibile fin da ora preordinare la vostra copia
Per cui amici lettori, se amate il genere,
preordinate la vostra copia a questo Link
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