A Oltre Scrittura lo scrittore Ivano Mugnaini. intervista a cura di Monica Pasero
Quando talento e passione
si uniscono
nascono
i professionisti!
Quello che mi colpisce dell’ospite di oggi è quel suo voler rimanere
al di fuori dei luoghi troppo rumorosi e bazzicati, quelli fatti di troppa
forma e poca sostanza. Mi piacciono gli artisti che vivono il loro status con
quella ricerca tenace e coerente, spesso controcorrente, che contraddistingue
solitamente i professionisti dai tanti venditori di fumo in circolazione, e
l’autore di oggi eccelle nel suo campo, anzi mi correggo nei suoi campi:
scrittore, poeta, saggista ma anche critico letterario, editor, traduttore,
curatore di varie uscite letterarie e altro ancora. I suoi testi denotano
una grande preparazione dovuta ad anni di studi, tanta passione e talento.
Una scrittura attenta e
raffinata, garbata, proprio come lui,
e soprattutto significativa. Nei
suoi viaggi letterari riporta autori di grande levatura e oggi nel mio piccolo blog viaggeremo con
lui alla scoperta di un uomo di passione e di penna.
A Oltre Scrittura ho l’immenso piacere di ospitare l’amico e
scrittore Ivano Mugnaini.
Mi fa
davvero piacere che tu sia qui! Leggendo la tua biografia, si dice che da piccino eri un po’ monello e il
pediatra sentenziò che non eri proprio un santo! Secondo me ciò che vide in
te fu quel guizzo che avevi negli occhi
(un po’ come tutti i grandi, insomma) e fuorviò la sua diagnosi. Eri
semplicemente un creativo già da piccino e qui ti chiedo: la tua più grande
marachella? Confessa!
Sono numerose, di
varia natura. Nulla di estremo, certo, ma caratterizzate da una certa
“vivacità”, per così dire, sempre sul confine tra follia e creatività, spesso
con un piede più sul terreno della prima, a dire il vero. Visto che siamo
nell'ambito della scrittura, ne cito una a che fare con fogli e penne. Credo
fossi in terza elementare. Durante una lezione come tante la mia maestra (di
cui con ogni probabilità ero innamorato, un po' precoce, ma tant'è) per tenerci
occupati e poter chiacchierare con un suo collega, ci diede da fare un
“problema a piacere”. Si trattava in sostanza di ideare un problema aritmetico,
ricavo, spese, guadagni e roba del genere, e risolverlo. Un po' perché non
avevo alcuna voglia di farlo, un po' per la certezza dell'impunità, essendo
seduto lontanissimo dalla cattedra, un po' per la gelosia per il flirt in corso
tra la mia maestra e il suo appiccicoso corteggiatore, un po', un bel po', per
un attacco della suddetta follia, io il problema a piacere lo scrissi, certo,
solo che invece di parlare di massaie, sporte della spesa, melanzane e
carciofi, vi inserii tutte le parolacce che conoscevo (ed erano già un discreto
numero, nonostante la giovane età). Il mio errore fu molto umano: il gusto di condividere
il riso (inteso non come alimento ma come divertimento). Il mio compagno di
banco a cui posi il foglio davanti non seppe trattenere un sibilo di ilarità. I
due del banco di fronte si girarono e io non ebbi la prontezza di riprendermi
il quaderno prima che finisse nelle loro mani. Da quel momento il mio
capolavoro di problema a piacere zigzagò tra i banchi fino ad arrivare, lento
ma inesorabile, sul banco del più testone della classe, sistemato dalla maestra
proprio sotto la cattedra per poterlo controllare. Lui impiegò dodici minuti
per riuscire e mettere insieme le sillabe. Nel frattempo la maestra, in piedi
di fronte alla cattedra, senza smettere di sorridere mielosa al suo
corteggiatore, riuscì a leggerlo da vari metri di distanza ed assestò uno schiaffo
sulla nuca del sorvegliato speciale con un rumore di anelli che ancora risuona
a distanza di anni. Lui, ripresosi dal colpo, borbottò: “Non sono stato io!”.
Da lì iniziò un breve processo.
Nella sorpresa generale, confessai dopo tre
minuti e quattro secondi. La maestra per la mattina seguente convocò mia madre.
Le disse che aveva portato il mio quaderno a casa e aveva fatto leggere il
problema a piacere a suo marito. Entrambi avevano sghignazzato a lungo. Poi per
salvare almeno un minimo di ufficialità aggiunse: “Non me lo aspettavo da
Ivano!”. Mia madre non replicò: “Io sì”. Ma sono certo che lo pensò.
Tornando
alle tue tante attività, mi voglio
soffermare sul tuo lavoro di critico
letterario e ti chiedo: nel tuo
giudizio, l’ago della bilancia dove pesa di più, su un editing
perfetto o un buon contenuto?
Direi che se c'è un
buon contenuto, inventiva, talento e il piacere di raccontare e di raccontarsi,
poi si può sempre rimediare in fase di editing ad eventuali imperfezioni
formali. Molto più difficile, al contrario, è rendere interessante un lavoro
corretto ma del tutto piatto e inespressivo.
I titoli
delle tue tre sillogi sono
accomunati da una parola essenziale “Il
tempo” Che cos’è per te il tempo nella tua visione esistenziale?
Contro
tempo. Inadeguato all’ eterno e Il tempo salvato, come accennato
sopra, sono le tue raccolte poetiche, due parole su questa tua esperienza in
versi?
Il tempo, non solo
per me credo ma per chiunque, è un elemento essenziale, non solo nella letteratura
ma anche e soprattutto nella vita. È una specie di personaggio muto ma
onnipresente. Ci siede accanto e aspetta, ovunque, inesorabile. Può essere
nemico spietato oppure compagno di viaggio, amabile, alla fine. Nelle mie
raccolte ho cercato di dire proprio questo: esistono momenti che riusciamo a
strappare al nulla, alla noia, alla piattezza, alla mancanza di emozioni. Ecco,
forse la poesia è ciò che riusciamo a salvare, e salvando lei salviamo noi
stessi.
Anche nel mio
prossimo libro di poesie, La creta indocile, che uscirà tra qualche
mese, il tema è ancora quello, tutto sommato: la creta da plasmare è il flusso
della vita a cui, con passione e amore, dobbiamo provare a dare una forma
adatta al nostro modo di essere e di sentire.
Tra i tanti
romanzi pubblicati, tutti con titoli devo dire originalissimi, mi
incuriosisce “Il sangue dei sogni”
edito da Lepisma Edizioni. In fondo i sogni sono sofferenza e passione,
un po’ come il sangue che scorre nelle vene o in questo caso sgorga dalla penna…
Un romanzo noir, due parole su quest’opera?
La trama del romanzo è imperniata su un’ossessione, un assillo, una
tortura psicologica tanto assurda da parere irreale, fittizia, priva di
consistenza. Eppure, con identica forza, se ne percepisce la solidità, la
materia di cui sono fatti i sogni, o meglio gli incubi. Quelli che non si
spengono, anzi, si ingigantiscono e si rafforzano quando si spalancano gli
occhi e si dilata la mente. Il romanzo si dipana all’inizio sui vari tentativi,
costantemente frustrati, di dare un volto, un senso e una dimensione
intelligibile, se non umanamente accettabile, ad
vittima vede se stessa nel volto e nel pensiero del carnefice. In questa prospettiva, si inserisce, prima come tentativo di fuga poi come assillo ulteriore, un viaggio in treno. Lo scompartimento si riempie di volti e figure in apparenza comuni e del tutto estranei a chi osserva. Un normalissimo, banale tragitto. Fino al momento in cui subentra l’inatteso, lo scarto, il granello di polvere che arresta l’ingranaggio e ne muta ritmo e incastri. Un uomo di nome Nico entra nello scompartimento con una pistola in mano e obbliga tutti ad ascoltare le sue argomentazioni. In seguito lascerà liberi gli altri passeggeri e porterà con sé, nella sua casa, nelle mura della sua follia, solo il protagonista, Dario, e una ragazza, Martina, che in seguito rivelerà la sua vera natura di compagna e complice del sequestratore. Dietro l'apparenza di ideali ammantanti di grandezza e idealismo, il sequestratore ammalia la propria vittima e usa come strumento estremo l'arma più efficace, l'amore. Usa la propria donna per fare innamorare la vittima e renderla strumento per i propri scopi criminali.
Alla fine però un ribaltamento di fronte inatteso rovescerà la
prospettiva.
Nella tua
carriera non mancano davvero i riconoscimenti e molte note da illustri
critici e autori letterari. Tra le tante
recensioni e note fatte sul tuo operato, quale è stata la più emozionante e perché ? Ti va di
riportarcela.
Non è per sfuggire
alla domanda ma con sincerità ti dico che ognuno mi è caro: quella del semplice lettore chi mi scrive una lettera
dicendomi che ha provato emozione, o divertimento o interesse a leggere
qualcosa di mio così come quella dei critici di professione e di fama, i cui
saggi magari studiavo quando preparavo gli esami di letteratura all'Università.
Ciascuno ha dedicato tempo e passione al mondo a cui ho cercato di dare forma
di parole, il tutto in un mare magnum di titoli, di proposte, di libri, di
manoscritti che avrebbero potuto scegliere al posto del mio. Quindi, ogni volta
è emozionante e gratificante.
Mi soffermo su una tua rubrica “Viaggi al centro dell’autore “ in
cui riscopri autori che hanno fatto la storia della letteratura
italiana, tra cui ricordo: Italo
Calvino, Primo Levi, Pasolini e, molti altri ancora, riportando al lettore,
non solo la loro parte letteraria, ma anche i luoghi dove sono vissuti,
mettendo a nudo l’uomo prima che l’autore. Un vero viaggio nell’intimo dell’uomo prima che artista, dico bene ? Se dovessimo viaggiare al centro
di Ivano
Mugnaini, cosa scopriremmo?
Dici bene, certamente.
Viaggi al Centro dell'Autore esplora mete
ideali separate ma collegate dai sentieri della lettura, della curiosità, della
passione per parole che hanno saputo diventare luoghi, fisici e della mente.
Contiene esercizi di lettura e rilettura, brevi ma appassionate
escursioni “informali” in abiti lievi e colori accesi su fondamentali sentieri
panoramici. Indaga sul rapporto tra
alcuni scrittori e poeti del Novecento e i loro luoghi di residenza ed
elezione, le città e i borghi in cui hanno vissuto e lottato per il diritto di esistere
e resistere, per la necessità, il fardello e il privilegio dell'espressione.
L'intento è quello di ricordare, attraverso esperienze
biografiche eternamente sospese tra dolore e gioia, difficoltà e tenacia, che
un viaggio è un’opportunità unica per conoscere, scoprire, stupirsi e
apprendere ma è anche un modo per ricordare, per non dimenticare. In questa mia
raccolta di articoli non parlo di viaggi o di luoghi ma di donne e uomini che
con la loro opera letteraria hanno impresso una traccia forte sul territorio,
l’ambiente e il contesto che li ha ospitati o che essi hanno eletto come fonte ideale di ispirazione e di ricerca. Quanto al mio
personale viaggio... è in corso. E ogni giorno cambia il panorama, il tragitto,
la strada. Ed è una fortuna. Non sono grado di fare bilanci. Sono in viaggio,
per forza di cose e per passione.
Tra i tanti
autori letti negli anni, ne hai uno a te davvero caro e uno invece che non hai mai compreso?
Ho avuto la fortuna
di leggere vari autori, anche diversi tra di loro, per epoca, tematiche,
nazionalità, che mi hanno influenzato e che hanno lasciato una traccia in me,
sul modo di essere prima ancora che di scrivere.
Ed ho avuto anche
la fortuna di schivare, forse per buona sorte o per istinto, quelli che invece
mi risultavano distanti.
Quindi, posso dire
che finora ho molti compagni di viaggio a me cari.
Gli altri,
viaggiavano magari oltre la collina, non lo so.
Ho avuto modo di leggere il tuo ultimo romanzo
“Lo specchio di Leonardo” Eiffel
Edizioni. Un testo davvero avvincente che porta a chiederci: quanto viviamo
davvero e quanto la vita spesso ci riduce, per forza maggiore, a vivere non
come vorremmo. Cosa ti ha spinto a
scrivere questo libro ? Ti
piacerebbe che qualcuno, per un po’,
vivesse la tua di vita?
Intanto ti
ringrazio per aver letto il romanzo e per aver scritto le tue impressioni sul
tuo blog.
Lo spunto iniziale è
nato da un film-documentario, uno dei tanti dedicati a Leonardo da Vinci, alle
sue scoperte, al suo inesauribile talento. Veniva mostrato Leonardo alle prese
con gli specchi da lui studiati a lungo per scopi scientifici e militari. Mi
sono interrogato, in quell'istante, sul rapporto del genio con la sua immagine.
Ho provato ad immaginare il divario tra ciò che appariva al mondo, la sua
eclatante gloria e la scintillante fama, e ciò che di intimo sentiva dentro di
sé, nella sua interiorità autentica. Ho pensato al contrasto tra i suoi veri
desideri e ciò che era costretto a realizzare in qualità di persona soggetta alle
ambizioni dei potenti del suo tempo, signori, notabili, politicanti e ricchi
mecenati. Non ultimo, ho pensato al contrasto tra il bianco e il nero, il buio
e la luce, il bene e la malvagità che anche Leonardo, come ogni altro uomo,
ospitava dentro di sé: il lato in ombra, i chiaroscuri e i contrasti più
laceranti forzatamente nascosti per motivi di opportunità e per mantenere vivo
il suo prestigio.
Ho pensato cosa avrebbe
fatto Leonardo se si fosse trovato, per qualche accadimento favorevole, ad essere finalmente libero di agire secondo
le sue più profonde e sincere inclinazioni. Come si sarebbe comportato, quali
rivalse avrebbe cercato, quali piaceri e quali verità, anche nell'ambito più
delicato e significativo, l'amore. L'accadimento
favorevole è l'incontro casuale con un suo sosia, una persona identica a lui
per l'aspetto fisico ma diversissima come carattere, inclinazioni, modo di
vedere e di pensare.
L'incontro inatteso con il suo “doppio”, Manrico, un copista ottuso e
acuto, ingenuo e profondo, gli dà la possibilità di progettare per sé la più
complessa delle opere, la vita, un'esistenza diversa, autentica. Leonardo
decide di affidare al sosia il ruolo del genio saggio, conscio, adatto al ruolo
e al mondo, per poter fuggire da sé dedicandosi finalmente alla scoperta della
vera follia, le passioni, il sesso, la sincerità, il bene e il male. Il
percorso di trasformazione è ritmato dai quadri più significativi di Leonardo,
lasciati volutamente incompiuti oppure abbandonati per eccesso di coinvolgimento,
un dialogo mai concluso, un dubbio mai risolto. L'affresco de "La
Battaglia di Anghiari", innanzitutto, dipinto a fianco del rivale,
Michelangelo, e lasciato a metà nel momento in cui, anche grazie a Manrico,
scopre il senso reale di quella celebrazione di un massacro che gli era stata
commissionata dal partito al potere. Ma soprattutto il gesto del sosia, un atto
di passione, anche schiettamente sessuale, fornirà la soluzione, e insieme un
ulteriore elemento di dubbio, al quadro più amato e odiato, "La Gioconda".
Non so se mi piacerebbe che qualcuno vivesse la mia vita. Sarebbe
interessante osservarmi dall'esterno, “vedermi vivere”, per dirla con
Pirandello.
Ma credo che poi, alla fine, ognuno abbia una vicenda del tutto unica
e individuale. Ed è questa una delle cose belle e difficili della vita: far
coincidere il proprio cammino con quello degli altri. O almeno con quello delle
persone che percepiamo affini.
Un pensiero
sul panorama editoriale odierno, se
potessi cosa cambieresti e perché?
Copio me stesso.
Ossia riporto qui alcune mie impressioni, del tutto personali, che ho già avuto
modo di scrivere altrove.
“Moltissime sono le
strade, i percorsi, i fiumi e i torrenti carsici. Ci sono libri di assoluto
valore ma c'è anche una quantità di prodotti editoriali, nel senso stretto del
termine, ossia di libri costruiti e confezionati su misura, come una merce di
qualsiasi altro genere, per attrarre lettori e favorire le vendite. Ciò è del
tutto legittimo, niente da obiettare. Ma temo che l'appiattimento e
l'omologazione dei gusti possano avere
un effetto boomerang. È un fenomeno che si può mettere in parallelo, ad
esempio, con ciò che accade nel mondo della
cinematografia e della televisione
e in vari altri ambiti artistici. A fianco di alcuni lavori ideati e portati a
termine con originalità c'è una marea di materiale “di plastica”, facile da
realizzare e da commercializzare ma di scarso valore intrinseco. Trovo che alla
lunga possa rivelarsi autolesionistico condurre volutamente il pubblico verso
crinali friabili e inconsistenti.
L'illusione di aumentare per qualche euro in più l'audience dei lettori,
così come quella degli spettatori, porta e porterà sempre di più ad
un'attenzione di breve durata e progressivamente ad un rifiuto, un rigetto.
Sarebbe auspicabile,
come già accade in alcuni paesi, anche europei, che anche in Italia si
realizzassero concorsi letterari ed artistici veri e seri, con l'intento di
fornire ai talenti, che ci sono, la
possibilità di esprimersi, di ricercare, di realizzare con i giusti mezzi le
loro idee e i loro progetti. Ciò avrebbe un positivo effetto a catena anche sul
pubblico. Perché, alla fine, la qualità paga, anche nei termini finanziari
tanto cari alle industrie e alle società. I lettori non sono stolti come
qualcuno vorrebbe fare intendere. Sanno distinguere e discernere. E se un
lavoro artistico stimola la loro mente e li coinvolge viene premiato, anche e
soprattutto se contiene elementi di riflessione e simbolici, mai pedanti,
questo è sottinteso, ma del tutto stimolanti. La “complicazione” non è da
demonizzare, tutt'altro: è sempre gratificante”.
Se dovessi
utilizzare una sola parola per
descriverti, quale sarebbe e perché?
Domanda bella ma impegnativa.
L'asticella è troppo alta.
Diciamo che la parola cambia con il tempo, a
volte anche più volte al giorno.
Posso dire le parole che non vorrei: “arroganza,
violenza, pesantezza, pedanteria”.
La lista potrebbe essere lunga. Quindi, per non
essere contraddittorio, risultando pesante, la interrompo qui.
Progetti
futuri?
Scrivere.
Cercare sempre il sudore gratificante che, come
sai, e come sanno gli atleti di qualsiasi disciplina, scorre sulla fronte
quando si è dato il meglio di sé.
E giungo alla mia ultima domanda, di rito per
Oltre scrittura, e ti chiedo: quanto è importante nella tua vita il sogno?
Stavolta non ho
dubbi: è fondamentale.
Nel momento in cui
non si hanno più sogni si è già morti.
Questo è certo: al
di là di ciò che poi verrà scritto all'anagrafe.
Ringraziando Ivano per questa interessante intervista ricordo agli amici il suo sito
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