Intervista alla scrittrice, Cristina Guarducci.

 

OLTRE SCRITTURA LIBERI PENSATORI CRESCONO

Intervista alla scrittrice, Cristina Guarducci.

 

L’ ospite di oggi è una donna dal carattere forte, sanguinea, con idee ben chiare. Leggendo le sue varie interviste si rivela un’amante della natura e del mistero che in essa si cela. Natura che rende spesso protagonista nei suoi libri proprio come l’immaginario che apre in lei quel bisogno di esplorare, di meravigliarsi ancora.

Non si risparmia dona tutta sé stessa; dà libero sfogo alla sua fantasia. Scrive di getto, lascia che pensieri e l’emozioni fluiscano liberi sul foglio, e solo a fine stesura concretizza davvero dove il suo inconscio l’ha portata. 

Seppur i suoi primi libri si potrebbero definire di genere Fantasy, lei non si sente di etichettare le sue opere in un genere letterario particolare: immaginario e realtà vanno a braccetto. La sua scrittura, come quella di ogni buon narratore, è un mondo a sé fatto di lei, dei suoi studi, delle sue esperienze, emozioni, sogni e di tutto ciò che vive, vede e fantastica.

Conosciamola meglio

Cristina Guarducci, classe 1957, originaria di Firenze, per oltre 30 anni ha vissuto a Parigi dove ha praticato la professione di psicanalista junghiana.  Negli anni ha maturato la sua passione per la scrittura, diventando autrice di punta della Fazi editore, con cui ha pubblicato: Mitologia di Famiglia 2005, Nonchalance 2009 (tradotto in francese), Malefica Luna d’Agosto 2015.  Oggi torna in libreria con un nuovo lavoro, Paul e Nina, romanzo edito da Edizioni Creativa.

 

Innanzitutto grazie di essere qui, la terapia analitica junghiana, leggo, ha origine da una “costola” della Psicanalisi di Freud. Cosa l’ha spinta ad indirizzare i suoi studi in questo specifico settore?

 Grazie a lei!

Ho “incontrato” Jung all’università, mentre studiavo psicologia, e la sua visione del mondo che dà largo spazio alla fantasia, alla creatività e alla spiritualità mi ha toccato immediatamente, ha strutturato e approfondito il mio modo di percepire la realtà. Per Jung l’inconscio è il luogo dove nasce e si modifica continuamente la vita psichica, per Freud l’inconscio è una sorta di limbo dove vengono riversati e compressi i contenuti inaccettabili alla coscienza. Anche se poi nella pratica terapeutica questi due giganti non erano poi così distanti. Per esempio ambedue davano una grande importanza all’analisi dei sogni.

 Nella sua esperienza professionale il malessere psichico può ricondursi al disamore verso noi stessi?

Sì, è proprio così, il fatto di essere stati poco amati, o amati in un modo distorto, fa sì che non riusciamo ad accettarci e ad esprimerci secondo la nostra natura profonda. La psicanalisi dovrebbe servire a rendere coscienti i nodi dolorosi dell’infanzia, e a favorire una rinascita attraverso la quale possiamo modificare l’atteggiamento negativo verso noi stessi.    

Jacques Lacan diceva: “Essere psicoanalista è semplicemente aprire gli occhi a questa evidenza che non c’è niente di più pasticciato della realtà umana”. Una sua considerazione.

Non conoscevo la citazione, ma sono d’accordo, ci troviamo continuamente a contatto con la confusione, l’imperfezione, la limitatezza del nostro essere e delle nostre capacità di cambiare. Eppure…a volte, non sempre, si riesce ad andare verso qualcosa di buono.

 In una intervista ha affermato: Quando scrivo mi limito ad osservare l’evoluzione dei personaggi non ho pregiudizi: non esiste il cattivo o il buono, c’è sempre una via di mezzo”. Un equilibrio tra il bene e il male, quella consapevolezza che l’essere umano non può che essere un po’ l’uno che l’altro … Questa sua visione trova solidità anche nei rapporti umani?

Sì, più invecchio e più sono sorpresa da come bene e male si intrecciano nel nostro carattere, di come ogni qualità abbia un risvolto positivo e negativo e uno non esista senza l’altro. Questo non vuol dire però che non si possa cercare di smussare i lati più sofferenti e distruttivi, anche nella relazione con le persone che ci sono vicine.

 Dal 2005, quando ha pubblicato il suo primo libro a oggi, la sua scrittura è mutata o lo stile è rimasto lo stesso?

Non saprei dire, forse questa considerazione spetta ai lettori. Noto soprattutto che i miei libri tendono ad essere abbastanza diversi l’uno dall’altro, ogni volta mi piace esplorare modalità nuove, anche se probabilmente alcuni temi di fondo restano. A volte sento il bisogno di usare le immagini fantastiche per esprimermi, che somigliano tanto a quelle dei sogni. A volte invece, come in Paul e Nina, resto più vicina al mondo reale.

  

Nel suo ultimo romanzo, che ho avuto il piacere di leggere, ci porta nel mondo frastagliato dei sentimenti dove psiche e cuore lottano per trovare, anche qui il giusto equilibrio. Per amare ci vuole coraggio. Tra Paul e Nina chi dei due ha avuto più coraggio?

Sono tutti e due coraggiosi, secondo me, ed è per questo che possono incontrarsi. Paul riesce a superare il suo lato conformista ed egoista, mentre Nina trova il coraggio di mostrarsi a nudo nella sua grande sofferenza. Sono due originali, due outsider, ognuno per ragioni diverse, che proprio per questo possono capirsi.

Come è nata questa storia d’amore?

È nata dalla mia storia d’amore con Parigi. Una città in cui ho vissuto gran parte della mia vita. Quando ho scritto questo romanzo la stavo lasciando per tornare a vivere in Italia, e ho voluto fissare le atmosfere del quartiere dove ho sempre abitato, il Marais, immaginando personaggi che somigliano ai tanti che ho conosciuto, molti dei quali hanno a che fare con il mondo dell’arte. Penso che Parigi sia una città dove la creazione artistica in tutte le sue forme abbia grande importanza. 

Nina ha dovuto convivere con un tremendo segreto, che non sveleremo ai nostri lettori, ma le chiedo: l’amore di una madre può superare il ricordo di come è stato concepito il figlio?

Non lo so, l’amore è un mistero, può trovare la sua strada attraverso situazioni impossibili, oppure basta un’inezia a bloccarlo. Non siamo tutti uguali, uno stesso trauma può avere delle conseguenze molto diverse a seconda di come una persona è strutturata. A volte l’amore materno non ce la fa a superare lo shock, violenza e rancore restano nella relazione con il figlio, a volte forse, sì. 

La storia è ambientata a Parigi, città che lei conosce bene, cosa le manca della vita parigina?

Mi mancano gli amici più che la città. Ho conosciuto Parigi in un’epoca molto diversa, in cui era più vivibile, meno cara, meno venduta al turismo e alle grandi marche. Adesso il mio ex quartiere è snaturato perché tutte le grandi città tendono ad omologarsi. Certo da un punto di vista culturale: teatro, musica, esposizioni, è sempre molto interessante e all’avanguardia, e anche questo mi manca. 

Se dovesse definire la sua scrittura in una sola parola quale sarebbe e perché?

“Vivace” spero che sia percepita così, perché dentro le pagine deve scorrere la vita, se no non è nulla.

 Ma chi è Cristina nella vita di tutti i giorni?

Adesso il mio lavoro principale è la scrittura e faccio una vita tranquilla, molte passeggiate nella natura, mi occupo della casa, vedo i miei amici. L’unica vera follia è il tango, di cui sono appassionata da diversi anni.

 Progetti futuri?   

 Ho alcune presentazioni in programma, in Toscana per ora, spero anche a Parigi. E poi due libri su cui sto lavorando a turno, cosa che mi succede spesso, ma di cui non dico nulla, per scaramanzia.

  

Ringraziando Cristina Guarducci per il tempo dedicato, ricordo ai lettori il link del suo ultimo libro disponibile sia in cartaceo che in formato Kindle.

LINK DI ACQUISTO

Link della Recensione al romanzo Paul e Nina




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