A OLTRE SCRITTURA LO SCRITTORE SILVANO BERTAINA ( Intervista a cura di Monica Pasero)


Scrivere è riuscire a dire le cose gravi con frivolezza e quelle leggere con gravità;

 ci vuole però, il senso dell’ironia e anche quello dell’autoironia.

Camilla Cederna

 

Dalle mie amate terre del cuneese giunge l’ospite di oggi.

Già dalle sue primissime pubblicazioni letterarie rivela una grande ironia. Si avverte il suo senso dello humor che lo porta a sdrammatizzare per rendere meno pesanti le giornate lavorative. E lo fa in due volumi umoristici, e se nel primo narra come eliminare un collega rompiscatole, nel secondo (sicuramente dopo aver appreso “la santa sopportazione” come la definisce) scrive una guida su come convivere con un collega di lavoro rompiscatole.  Già da qui possiamo avvertire che l’ospite di oggi ama sorridere a questa vita e non prenderla troppo sul serio, cosa che tutti noi dovremmo imparare. Ma oltre a questa sua verve umoristica, ama anche la storia, l’importanza della memoria storica, di ciò che è stato, attraverso monumenti, lapidi, busti e targhe lasciate nel tempo che commemorano uomini del passato che hanno agito per il bene della collettività. Molte sono le curiosità intorno a questo autore, perciò non mi resta che dargli la parola. A Oltre Scrittura ho il piacere di ospitare lo scrittore e giornalista Silvano Bertaina.

 

    Innanzitutto ti ringrazio di essere qui. Parto subito col chiederti cosa ti ha spinto a iniziare a scrivere, a metterti in gioco in questo tortuoso mondo editoriale?

Diciamo che ho avuto finora tre vite, o periodi storici. Nel primo, dopo la naja e il diploma all’Itis di Cuneo, ho cominciato a lavorare da artigiano: installavo antenne Tv e antifurti. Abitavo a Boves, di cui sono originari i miei nonni. Scribacchiavo per conto mio, ogni tanto scrivevo ai giornali, ogni tanto mandavo un racconto da qualche parte: ne ho alcuni nelle raccolte L’to Almanach. Nel 2002, dopo il trasferimento da Boves a Govone nel Roero per motivi del lavoro di mia moglie, ho cominciato la mia seconda vita, nella scuola, insegnando elettrotecnica in un istituto professionale albese. In questo contesto ho ripreso a scrivere con più continuità, ho partecipato a corsi di scrittura e mi sono un pochino “formato” su testi che aiutano a scrivere meglio, dalla semplice grammatica a testi più specifici. Così ho cominciato a divulgare racconti umoristici che piacevano ai miei colleghi (almeno, a qualcuno) e sull’incoraggiamento ho messo insieme una raccolta di quelli che prendevano un po’ in giro il mondo del lavoro, le sue macchiette, i suoi personaggi tipici e ho trovato una piccola casa editrice che ha pubblicato “Come eliminare un collega di lavoro e perché”. Il titolo l’ho copiato da certi libricini di Antonio Amurri degli anni ’80 che mi piacevano molto. Poi ho continuato a scrivere racconti, non solo umoristici e nel frattempo a collaborare in modo fisso e continuativo con La Stampa, redazione di Cuneo, che mi ha affidato una rubrica e in seguito dato la possibilità di scrivere articoli di vario genere. Dal 2021 la professione di giornalista è diventata la mia terza vita lavorativa e oggi collaboro da free lance con diversi giornali, cartacei e on-line, per cui scrivo per mangiare. La scrittura di evasione prende ormai poco posto nella mia vita, ma di tanto in tanto, un’idea per un racconto mi viene, mi fa scartare dalla normale routine e ancora scrivo per conto mio, cose mie, perfino poesie (bruttissime peraltro …).

I tuoi primi volumi: “Come Eliminare un collega di lavoro … e perché.” Ed.Impressioni Grafiche(2013), e “Come sopportare un collega di lavoro senza strangolarlo subito” Ed. Impressioni Grafiche(2017), da dove nascono, solo pura fantasia?

Come ti ho accennato, prima, nacquero per scherzo, anche se l’umorismo non va sottovalutato: è un modo disincantato per dire cose serissime. Non bisogna dimenticare due cose.Far ridere, soprattutto oggi è difficilissimo. 




E in secondo luogo, a volte una battuta o una descrizione comica dice più di un saggio o un trattato di psicologia. I miei personaggi, anche se ridicolizzati, sono presenti ogni giorno intorno a noi, non possiamo negare di avere un collega noioso o che puzza o che ha strane abitudini. Sopportare non è sempre facile. Una risata aiuta a convivere meglio.



C’è un’altra tua opera che mi incuriosisce “Bocciati&Sbocciati” 2014 Ed. Impressioni Grafiche.  “Dio li fa, poi la natura pensa ad istruirli, perché la Scuola non si capisce come possa farlo. Tuttavia i miracoli avvengono e alcuni sbocciano, come fiori in primavera. E gli altri? "per i miracoli non saremo mai attrezzati". Le bocciature, oggi, si giustificano così.” In questo tuo passaggio di velata ironia, oppure rassegnazione … ti chiedo, data la tua grande esperienza in prima linea nell’insegnamento, quale disagio evidenzi di più tra i tuoi giovani studenti nell’apprendere? Indifferenza? Poco entusiasmo? Oppure solo una sorta di rassegnazione per un futuro davvero incerto?

 


Ho abbandonato la scuola, lo confesso, stufo e sopraffatto da un mondo che non sentivo più mio. Per una decina di anni l’entusiasmo mi ha aiutato, penso di non essere stato nemmeno un cattivo insegnante. Poi, pian piano, è diventato un ambiente intollerabile. La Scuola, detta alla Bartali “l’è tutta sbagliata” e io mi sentivo un po’ complice di un sistema che non condividevo più. Mi facevano pena i ragazzi costretti per ore su banchi e seggiole, a sorbirsi lezioni noiosissime di insegnanti autoreferenziali e allo stesso tempo, gli stessi ragazzi di 15 – 18 anni mi parevano alieni, come non parlassero la mia stessa lingua. Non li capivo più. Non comprendevo le regole assurde di un sistema scolastico che fa acqua da tutte le parti (e il filosofo Galimberti dice di peggio …) e non volevo fare la fine di quegli insegnanti che si trascinano alla pensione raccontando sempre la stessa lezione. Il libro Sbocciati&Sbocciati è in realtà un grido di allarme e una speranza al tempo stesso, perché so che ci sono ancora tanti giovani in gamba, per fortuna. Noto che la forbice si allarga anche lì: o sono ragazzi bravissimi o molto scarsi e maleducati. Lo studente medio, che ha qualche limite, ma può via via migliorare crescendo, è in via di estinzione.

Arrivo al tuo ultimo lavoro “Smonumentando” edito da Primalpe edizioni. Un bel volume illustrato di 412 pagine, che ci conduce alla scoperta di monumenti, targhe, busti. Oltre 200 luoghi che hai visitato e recensito. Due parole su questa tua opera?

 

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Smonumentando raccoglie 200 monumenti “pubblici”, quelli che abbiamo nelle piazze, nei parchi, sulle facciate dei palazzi, a cui magari non facciamo nemmeno caso. Statue, busti, targhe, cippi, a volte installazioni nelle rotonde o fontane artistiche. Dal 2017 curo una rubrica omonima su La Stampa e oltrepassata quota 200 ho iniziato a capire che c’era materiale per una raccolta. Si va da Acceglio a Vottignasco, in ordine alfabetico e si incontrano luoghi, personaggi, fatti. Storie insomma. Io non sono un esperto di arte e nel poco spazio concessomi (i pezzi sono lunghi intorno alle 1700 battute spazi compresi) ho sempre cercato di raccontare gli aspetti più curiosi di una vicenda umana o ciò che sono riuscito a trovare sullo specifico manufatto. Sono diventato un po’ “cacciatore di monumenti” o “cercatore” e tuttora la rubrica è viva e ha raggiunto i 270 monumenti.



Tra tutti monumenti visitati, quale tra questi ti ha colpito di più e perché?

Come fascino o bellezza dello stesso, non saprei. Ce ne sono di molto belli, sia di artisti viventi, sia di scultori del passato. Le opere di Giuseppe Dini (quello del Barbaroux di piazza Galimberti per intenderci) ad esempio, sono tutte molte belle, come sono belli i monumenti di Elio Garis a Vignolo, di Sergio Unia a Mondovì o Alba, di Michelangelo Tallone a Cherasco e di molti altri artisti. A volte il gusto delle persone è davvero particolare. A molti non piace l’angelo di Bossolasco, mentre a me sembra molto bello. C’è un monumento dedicato a Celso Cesare Moreno a Dogliani che ricorda ad esempio un personaggio da film, con una vita straordinaria: in sé non è bellissimo, ma spesso, nell’articolo ho cercato di scavare nell’Uomo (o donna) piuttosto che vedere solo la parte artistica. Aggiungo, a proposito di donne, che i monumenti dedicati alle donne, purtroppo nella nostra provincia, scarseggiano: non c’è parità di genere nemmeno in quello!

C’è un monumento che secondo te non meritava d’essere stato realizzato e se sì, qual è?

Difficile rispondere. Più che altro ci sono monumenti che non avrebbero dovuto proprio esserci: tutti quelli dedicati ai partigiani uccisi, quello del mulino Cordero a Fossano, quello per Dalla Chiesa a Saluzzo o la “Mano” di Remo Salcio ad Alba, dedicata ai morti sul lavoro. Per certi avvenimenti, il monumento sarebbe meglio non fosse stato necessario intendo. Io credo che se un artista ha realizzato o sentito di dover realizzare un’opera, una ragione c’era. Anche meramente economica, intendiamoci. Non me la sento di giudicare nemmeno gli artisti che lavorarono nel periodo del fascismo, perché occorre calarsi nel periodo storico per comprendere. E te lo dico da figlio di un partigiano, uno che col fascismo non ha affatto un buon rapporto.

Lo scrittore Nathaniel Hawthorne (1804-18649) diceva: “Il marmo conserva solo un freddo e triste ricordo di un uomo che sarebbe altrimenti dimenticato. Nessun uomo che ha bisogno di un monumento dovrebbe mai averne uno.” Il tuo pensiero?

È una frase che avevo letto e che ha un suo senso profondo. Credo sia applicabile perfettamente alle tombe monumentali dei cimiteri, nelle quali si celebra più che altro la ricchezza, il censo, il potere, non la grandezza di un uomo. Quando vedo il monumento di Schiaparelli a Savigliano o quello di Alessandro Riberi a Stroppo, penso che sia utile l’esempio tangibile, il ricordo di qualcuno che fece cose importanti o contribuì al progresso scientifico o fu un esempio positivo per tante persone. Certo se il monumento celebra chi non lo merita, allora è vero che il freddo marmo non serve e che il personaggio andrebbe quantomeno non esaltato pubblicamente.

Ma Silvano tu non sei solamente un valido scrittore e un attento osservatore, da anni ti occupi anche di giornalismo, collaborando con varie testate tra tutte cito: La Stampa. Come è nata questa esperienza?

Per caso. Scrivevo spesso lettere alla redazione cuneese, intervenivo da cittadino indignato (molto di più di adesso…) sugli accadimenti locali, cuneesi. Così mi chiesero di scrivere come collaboratore e mi affidarono nel 2011 una rubrica che funzionò bene e si chiamava “L’angolo libero”. A me scrivere è sempre piaciuto, avevo collaborato per qualche tempo a diverse testate locali. Non mi sento “giornalista” nell’anima, nel senso che non sono capace di fiutare la notizia. Sono un po’ ingenuo insomma. Il mondo dei giornali e quello de La Stampa in particolare, è cambiato parecchio negli ultimi anni: è molto difficile, c’è crisi di vendite e di lettori, il cartaceo sta quasi scomparendo. Comunque a me diverte scrivere per i giornali e ultimamente ho cominciato l’avventura con Targato Cn e La Voce di Alba, dove ho trovato colleghi molto preparati e ben disposti verso un vecchietto come me, che tuttavia, nel giornalismo di tutti i giorni, con la cronaca di incidenti, inaugurazioni, politica locale e altro, è ancora un po’ pivello.

Nel 2021 hai vinto il premio “Massimo Troisi” a Napoli per racconti umoristici. Due parole su questa grande soddisfazione.

Ogni tanto mando un testo a qualche concorso letterario e in quel caso premiarono un racconto di un mio personaggio seriale, Il dottor Mash, a cui ho già fatto fare alcune strampalate avventure. Scrivere umorismo è la mia vera passione. Raccontare storie inverosimili, come facevo con i miei figli quando erano piccoli. Storie buffe, di personaggi tragicomici in genere. Al “Troisi” piacque un racconto surreale e perfino “hard” se vogliamo, ma è senz’altro una storia che fa molto ridere. Poi sai come vanno queste cose: magari un’altra giuria l’avrebbe giudicato diversamente. Tra le centinaia di racconti umoristici che ho scritto, ce ne sono di quelli che a me piacciono anche di più, o reputo più divertenti. Siccome anche tu scrivi, sai bene che a volte ai lettori piacciono cose che a te sembrano meno efficaci, mentre tu ti innamori di una storia che non fila nessuno. Io adoro un racconto che scrissi ridendo dall’inizio alla fine, in cui ci sono delle mucche protagoniste: l’ho mandato ad un concorso dove non è stato nemmeno segnalato.

 Ma chi è Silvano Bertaina nella vita di tutti i giorni?

In questo periodo sto seguendo un corso sulla scrittura per la promozione turistica, che mi interessa per poter lavorare con più competenze sui testi destinati al turismo e al nostro territorio. Nel frattempo scrivo per diversi giornali, fra cui Targato Cn come ho detto, Made In Cuneo e La Stampa con Smonumentando. I miei figli sono ormai grandi e vivono per conto loro, mia moglie lavora tantissimo, è responsabile della qualità in un’azienda alimentare molto grossa e fa orari da stakanovista. Per cui passo molto tempo con colleghe nuove, due gatte, con cui vado d’accordissimo. Sono appassionato di running e quindi di tanto in tanto vado a correre o a fare una camminata. Curo il mio orticello, tengo pulita la casa, lavo, stiro, faccio da mangiare, sono abbastanza attivo. Mia mamma morì all’improvviso quando avevo un anno, per cui sono praticamente un orfano (non la ricordo per niente). Ho vissuto sempre con mio papà e sono abituato ad arrangiarmi. Eravamo due uomini, abbiamo dovuto cavarcela da soli. Per cui non sono venuto su viziato, ho imparato a convivere pacificamente con la solitudine e con me stesso. Infatti da solo sto bene, generalmente vado d’accordo con me stesso, anche se ogni tanto litigo con la mia parte pigra o svogliata. Sarei un magnifico esemplare di “Uomo da Bar” avessi solo imparato ad andare al bar! Mi hanno fregato i libri. Umberto Eco, Garcia Marquez, gli americani, Faulkner su tutti, e i due Roth, Oz, Vargas Llosa, Simenon, Montalban, Le Carrè …. Tanti altri. Quelli mi hanno fregato. E forse il primo è stato Guareschi, che piaceva tanto a mio papà. Ti sorprende che non cito Fenoglio? Certamente un grandissimo. Io però non l’ho mai riletto, mentre la tentazione di rileggere “Per chi suona la campana” c’è e Madame Bovary l’ho letto due volte. Caspita, dimenticavo il mio preferito, quasi a darlo per scontato: Fedor Dostoevskij. Ecco chi sono alla fine io: Alesa, dei fratelli Karamazov, quello sono.

Progetti futuri?

Nel 2023 vorrei pubblicare una raccolta di racconti, o sugli animali (ne ho pronti una trentina e qualche editore interessato) o sul mio personaggio “detective”, il Maresciallo Aimar, nativo della Valle Maira e trasferito nelle Langhe, in una piccola stazione di carabinieri di paese, dove i “casi” non mancano. Su Aimar mi chiedono un romanzo in realtà, ma io non ho il passo del romanziere. Il racconto breve è più alla mia portata per ora, lo gestisco con una certa facilità, ne conosco i meccanismi. Attualmente non avrei proprio il tempo per concentrarmi su una storia complicata o lunga. Comunque, mai dire mai. Poi nell’immediato ho le presentazioni di Smonumentando che andranno avanti in primavera e comunque sono un impegno. Altro verrà, non sono un buon programmatore, prendo la vita come viene.

E giungo alla mia ultima domanda di rito per Oltre scrittura, quanto è importante per te sognare?

Sono un buon sognatore ad occhi aperti. Sogno anche cose romantiche, non si direbbe. Egoisticamente a volte sogno di poter dedicarmi alla scrittura creativa a tempo pieno, ma realisticamente so che è abbastanza improbabile. Sono molto “greco” nel midollo, accetto i miei limiti, mi conosco, so cosa posso fare bene e cosa no. Difficilmente cadrò nell’Hybris, forse solo un amore inaspettato potrebbe trascinarmi lì. Mentre per quanto riguarda la mia vita onirica, che è parte rilevante di noi stessi, faccio sogni seriali, che si collegano tra loro. Come delle puntate di una storia, una notte succede qualcosa, la successiva si va avanti. Per due o tre volte. Di solito ci sono di mezzo cani o gatti o animali, quasi sempre miei alleati. A volte sogno di volare, di sollevarmi come un uccello, per brevi tratti, come un pollo diciamo. Raramente ho incubi. Li ho avuti tutti da piccolo, che pare fossi pure un po’ sonnambulo. Un sogno reale è che finiscano tutte le guerre nel mondo e svaniscano le ingiustizie sociali, di genere, di opinioni. E che nessuno si permetta più di rubare l’infanzia ai bambini o far loro del male. Che si viva ognuno nel rispetto dell’altro, inseguendo ciascuno il meglio di sé.

Ringraziando Silvano Bertaina per questa bellissima e interessante intervista, ricordo agli amici lettori tutte le sue pubblicazioni.

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