A Oltre Scrittura la poetessa, Angela Ambrosini. Intervista a cura di Monica Pasero


                                                                                                                                                                                   Come corre il dolore
         fra i boschi graffiati dal vento asciutto che screpola casali canuti di prima neve e da cortile a cortile insegue rare foglie e rami aguzzi fino alla frontiera ultima del giorno che alla sera s'addossa fra lampi 
                       e brividi di cielo…

Tratto dalla lirica “Tempus fugit” di Angela Ambrosini


Leggendo una delle sue opere posso affermare che ci si trova di fronte ad un’autrice il cui estro e la sua professionalità camminano di pari passo. Nei suoi versi trapela forte il suo incedere deciso da anima a mente, i passaggi sono ricchi e sicuri, le parole s’imprimono con forza e ne scaturiscono liriche, dove la bravura, la consapevolezza di sé e l’accuratezza dei dettagli regalano al lettore componimenti che uniscono all’alta qualità linguistica anche una notevole sensibilità. Tutto questo mi fa  pensare, quanto amore e dedizione metta, l’ospite di oggi, nel suo percorso letterario.
La sua verve artistica è potente, si espande in vari settori spaziando dalla lirica, alla prosa, all’ arte, al teatro; una figura completa, la sua, di una donna che ha costruito negli anni un bagaglio culturale non indifferente che la vede, oggi, protagonista sia nel lavoro che nelle sue passioni.
Caparbietà, passione e spirito di sacrificio vedo in lei!  E i riconoscimenti premiano questa sua volontà che l’ha portata ad elevarsi come artista regalando, a lei e ai suoi lettori, grandi emozioni. A Oltre Scrittura ho il piacere di ospitare la Poetessa e Scrittrice, Angela Ambrosini.

Innanzitutto la ringrazio di essere qui; leggo che si occupa d’insegnamento: più precisamente è un’insegnante di lingua spagnola; lo spagnolo, a quanto leggo nella sua ricca biografia, sembrerebbe una parte  importante del suo cammino e qui le chiedo: c’è un motivo particolare che l’ha indirizzata verso questo percorso di studio?

Grazie a lei per questa intervista. Il motivo propulsore, subito dopo il diploma di maturità classica, fu la consapevolezza che lo spagnolo stava diventando la seconda lingua al mondo con carattere di internazionalità. Il motivo, diciamo, più autentico rispondeva all’affinità che percepivo tra lo studio di questa lingua e della sua cultura e l’impostazione umanistico-letteraria degli studi svolti. Ho sempre avuto una spiccata propensione per le materie letterarie e una vera passione per l’analisi linguistica dei testi, fossero in greco, latino, inglese o italiano. Così, intraprendendo la facoltà di lingue e lo studio in particolare di una lingua romanza, mi sembrava di dare continuità a un percorso dal quale mi ero sempre sentita appagata.

A lei va il merito della traduzione italiana del Don Juan di Gonzalo Torrente Ballester, Edizioni Jaca Book, 1985.  Vuole raccontare ai nostri lettori come nasce questa collaborazione e l’emozioni provate in questa sua esperienza.

Fu proprio la mia breve collaborazione universitaria del dopo laurea ad aprirmi questa possibilità. Il docente universitario di spagnolo del mio corso, il mai abbastanza compiantoProfessor
Giovanni Allegra, illustre ispanista, avendo capito la mia passioneper la scrittura in senso lato, mi propose la traduzione di questo romanzo imperniato su uno dei miti più longevi e trasversali della letteratura spagnola, il mito del Don Giovanni, appunto, che poco ha di scaramucce amorose (secondo la vulgata più abbordabile) e molto di problematiche teologiche legate all’esercizio del libero arbitrio e del rapporto di sfida titanica che il protagonista instaura con Dio. Difatti, il suggestivo romanzo di Torrente Ballester ripercorre, in una Parigi moderna, le varie versioni che del Don Giovanni ha dato la letteratura universale, mai disgiunte da implicazioni religiose. Lei mi chiede che emozioni ho provato ... beh, infinite, e soprattutto la sensazione di avere un dialogo silente con l’autore, il privilegio di mantenere una comunicazione quasi telepatica con lui, che, essendo allora vivente, ebbi l’onore di conoscere e intervistare in seguito, in un dialogo vero, nella sua terra Natale, la Galizia.Ma la sensazione più persistente, in corso d’opera, fu il timore di inadeguatezza stilistica al testo, testo che un traduttore, pur nel dovere deontologico di fedeltà alla lingua di partenza, deve pur coniugare in modo irreprensibile alla lingua d’arrivo. Insomma, diceva Gogol che nella traduzione deve percepirsi come una lastra di cristallo a dividere i testi delle due lingue. Il compito più arduo è proprio far sì che questa parete trasparente non diventi un muro o uno specchio deformante.

Petrarca  diceva: “Interrogo i libri e mi rispondono. E parlano e cantano per me. Alcuni mi portano il riso sulle labbra o la consolazione nel cuore. Altri mi insegnano a conoscere me stesso.”  E qui le chiedo: quanto è importante lasciare un buon messaggio in uno scritto?

Importante esattamente quanto lasciare un buon ricordo di sé dopo morti! La scrittura, per chi scrive, è come un lascito ereditario. Non va dissipato, non va oltraggiato, non va tradito, tanto meno da chi ne è il proprietario. Troppe volte leggiamo versi
o prose che suonano inautentici, leziosi, un po’ ruffiani se non addirittura retoricamente allineati alle mode del momento (ivi compreso il politicamente corretto), garanzia di facile successo. Scrivere non è compiacere a tutti i costi il pubblico né appagare il proprio narcisismo. Èun atto di fede e come tale esige abnegazione, limpidezza, coraggio di andare controcorrente, paradossalmente sopprimendo proprio il proprio ego. E inevitabilmente porta a una forma di conoscenza, come afferma il Petrarca nella citazione della sua domanda. Vorrei menzionare al riguardo, per analogia, il pensiero dello scrittore e filosofo americano di fine ottocento Ralph Waldo Emerson, di una modernità impressionante. Nel suo saggio Essere poeta, Emerson afferma, più o meno testualmente, che “ogni uomo vive di verità e ha bisognodi esprimere il suo doloroso segreto”. Infatti “l’uomo è se stesso solo per metà, l’altra metà è la sua espressione”, espressione che, appunto, per rispondere alla sua domanda, s’ identifica con il messaggio che lascia.

Ha al suo attivo svariati riconoscimenti sia nazionali che internazionali, tra tutti ricordo Il premio “World LiteraryPrize alla Cultura”,ricevuto a Parigi nel 2015 ,un ricordo di quel giorno.
Un sole e un caldo incredibili, un teatro di velluto a Pigalle e un’atmosfera un po’ sospesa per l’emozione dell’evento, condotto dalla professionalità e dall’eleganza di Roberto Sarra.

Le sue pubblicazioni sono molteplici, ricordo: Silentes anni e Fragori di rotte (vincitrice del premio editoriale “Scriveredonna”, presieduto da M.L. Spaziani) per le Edizioni Tracce; Controcanto, Edimond (vincitrice del premio “Città di Castello”, prefazione di A. Quasimodo) e Ora che è tempo di sosta, edito da Ctl Editore con la prefazione dell’illustre poetessa e studiosa Ninnj di Stefano Busà.  Quale tra queste sue opere le è più cara e perché?

Veramente mi è sempre più caro l’ultimo libro…. Quindi adesso è il turno di Ora che è tempo di sosta!! L’ultimo libro rappresenta sempre un passo avanti nella traiettoria del percorso artistico e della consapevolezza del sé. L’ultimo libro è quello che contiene i libri precedenti e preannuncia in embrione quelli futuri 
Qui la recensione dell' opera.




Raul Aceves cita: “La poesia abita misteriosamente nelle parole,come l’anima dentro il corpo.”Quanto è importante per lei il rapporto tra spirito e mente nel suo comporre?

Importantissimo, e mi piace che lei me lo chieda, perché normalmente si insiste sempre e in modo stucchevole sull’entità dei sentimenti e delle emozioni in poesia, come se fossero i cardini dell’esperienza poetica. Al contrario, grandi poeti e filosofi ribadiscono la valenza poetica del pensiero e l’inautenticità della poesia intesa solo come espressione di sentimenti. Croce parla della poesia come “unione del tumulto e della calma, dell’impulso passionale e della mente che lo contiene in quanto lo contempla”. Eliot e Wordsworth ravvisano nella fuga dall’io e dalle emozioni di superficie le uniche corde autentiche del poetare, Alda Merini definisce la poesia come linguaggio che si esprime attraverso la cultura. Ma i piccoli sedicenti poeti non leggono i grandi, seducenti poeti e quindi identificano troppo spesso la poesia con un mieloso linguaggio inanellato di tanti banali aggettivi, traduzione simultanea di tanti banali sentimenti, quasi che la forza del pensiero, della cultura, addirittura della lingua stessa fosse un ostacolo per la creazione poetica. Più volte capita anche di orecchiare la stantia cantilena che nel mondo dovrebbero esserci più poeti e più poesia: al contrario io credo che si scriva già troppa poesia a scapito della qualità...

Ha un autore che ama particolarmente al quale si è ispirata?

Più che un autore, direi sicuramente gli autori della nostra grande stagione cosiddetta ermetica, a cominciare dal suo precursore Dino Campana. A quattordici anni venni letteralmente fulminata da Salvatore Quasimodo che poi tanto ermetico non mi pareva se riuscivo a trattenere a memoria intere sue poesie proprio seguendone il sottile filo logico. Gli studi universitari mi orientarono sulla lirica additata da Juan Ramòn Jiménez che in ambito ispanico determina proprio una svolta in chiave ermetica. La sua concezione della “purezza” poetica, scevra da inutili orpelli e da sentimentalismi di maniera, si riassume nel famoso verso “Intelligenza, dammi il nome esatto delle cose”. E questo ci riporta al nucleo della precedente domanda.

Oltre al suo grande amore per la scrittura è insito in lei l’amore per l’Arte che la vede impegnata nel realizzare eventi di vario genere, per tanti artisti, e qui le chiedo: che cosa è per lei l’arte?
Bella domanda! Forse l’arte è una specie di coincidenza degli opposti, è voler esprimere l’inesprimibile, raggiungere l’irraggiungibile, eternare ciò che è temporaneo. L’arte è creazione, una sfida inconsapevole al divino, è voler superare i limiti umani, ma per conoscerli meglio.

 Progetti futuri?
La prosa. Sento la necessità di prendermi un po’ di pausa dal linguaggio fulmineo della poesia, ho bisogno di indugiare più a lungo sulla pagina, ho bisogno di un’estensione orizzontale, analitica del pensiero, non solo verticale e sintetica come avviene in poesia. E poi guardi che la critica che prima rivolgevo a certi poeti vale anche per me! Ho il timore di ripetermi, di cadere nel de ja vu degli stilemi che inevitabilmente chi scrive sedimenta nel proprio processo creativo. Insomma: Ora che è tempo di sosta anche di fatto! Ho in cantiere, sempre con CTL Editore, il mio secondo libro di racconti, ma il puntiglioso controllo che esercito sulla scrittura mi sta inducendo a rivedere certi passaggi, sfrondandone il dettato linguistico.

  Se dovesse definirsi in una sola parola, quale userebbe e perché?
Visionaria. Mi sento così, ma non in quanto alienata dal reale, al contrario, con la volontà e forse la capacità intuitiva di avere una “visione” del mondo concreta e al tempo stesso proiettata oltre il concreto. Per questo il mio concetto di “visione” non si salda all’utopia, alla terra di nessuno, bensì al mito, al retaggio solido degli ideali e della tradizione.



E arriviamo all’ultima domanda, di rito per Oltre Scrittura, e le chiedo: quanto è importante per lei il sogno?
Molto importante, essendo una visionaria! La mia opera prima di racconti, Semi di senape, è nata dai territori impalpabili del sogno, spesso dell’allucinazione, come allegoria di un’angoscia esistenziale sperimentata dopo la morte di mia madre. Borges scrisse persino un Libro di sogniclassificando il sogno stesso come genere letterario primordiale, archetipico, e afferma che tutta la storia della letteratura altro non è che la storia di un immenso sogno, sostenendo anche che tra comporre una poesia e sognare non c’è nessuna differenza. Il concetto del sogno e della vita come sogno viene da molto lontano e ha sostanziato la sensibilità del barocco, sia spagnolo che inglese. E come non ricordare la celebre frase di Shakespeare de La tempesta: “Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni”?


Ringraziando Angela Ambrosini per questa interessantissima intervista, ricordo ai nostri lettori che potete seguirla sulla sua pagina facebook o sui siti indicati.





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