A OLTRE SCRITTURA L'ARTISTA FABIO FIORINA ( intervista a cura di Monica Pasero)

 

Un’ Anima rock e un’Anima poetica che convivono nello stesso individuo, contaminandosi a vicenda, rendendo la sua poetica e la sua musica un mix di trasgressione, riflessione e contemplazione.

 


 

Tormento e passione simboleggiano da sempre i grandi artisti. Solo così un vero artista può trasmutare il proprio dolore, le proprie mancanze e desideri trasformandoli in arte, riportando tutta quella bellezza che spesso gli è mancata. 

L’artista di oggi sprigiona quell’energia, quella voglia di ribellione che unita alla sua parte poetica, sortiscono in lui un grande talento sia per la sua vocalità: una voce calda, avvolgente, che arriva. Si sente! Sia per la sua poetica che scorre nei fondali della sua anima per poi emergere nella sua totale purezza.

Un artista completo che negli anni ha saputo distinguersi dalla massa. Un musicista di successo, ma non solo. Di lui mi piace la sua sete di conoscenza, un uomo che non si è fermato alla superficialità di questa società, ma si è spinto negli abissi più impervi dei misteri umani, in cerca di risposte.

Chi sa distinguersi non lo fa con gesti eclatanti, ma con gesti importanti che spesso in questa società passano in secondo piano.

I veri artisti di oggi non li ritroviamo sempre su un palco, dove dovrebbero stare, ma possiamo scoprirli per caso, tra le pagine di un loro libro, come è successo a me.

Oggi a Oltre Scrittura ho il grande piacere di ospitare Fabio Fiorina, musicista, scrittore, poeta, regista teatrale e non per ultimo giornalista.

 

Innanzi tutto ti ringrazio di essere qui. Nel 2006 la tua rock band cambia nome e da una tua idea nascono i Clockers. Della vostra musica si dice: “Il loro sound è una mistura perfetta tra la solennità del Blues, l’energia del Country e del Southern Rock, la leggerezza della West Coast, il tutto unito ad uno stile British Rock.”  Il vostro album Love & Dirty Roads – The Clockers è stato per sei mesi nelle prime posizioni download, con conseguente tour in Inghilterra. Belle soddisfazioni! Un ricordo di quel periodo.


R: Grazie a te per l’invito. Abbiamo vissuto tempi unici e riportare tutto ad un solo ricordo è veramente difficile. La sensazione generale? Eravamo perfettamente dove volevamo essere. Provavamo i nostri brani nella villetta al mare del nostro batterista… ci sentivamo un po’ come i Lynyrd Skynyrd: una famiglia che viveva una specie di magia. Mangiavamo insieme, litigavamo e ridevamo come bambini, provavamo i nostri brani e i vicini di casa, anche a mezzanotte, ci dicevano: “Non provate a smettere”. Forse era quell’atmosfera a non farci cadere nel contesto della banalità. Siamo rimasti aggrappati alle radici della musica e alle radici di quell’anima così potente che è propria di una vera Southern rock band.

 

Marco Orlandi nel 2014 vi recensiva così: “I The Clockers si collocano in una dimensione inafferrabile: al primo ascolto si ha l’impressione di trovarsi di fronte a cover di pietre miliari del rock sopite nella coltre dei nomi, dei concerti, delle copertine sbiadite in qualche anfratto della discoteca personale (Eric Clapton? Mark Knopfler?). Poi ascoltando e riascoltando ci si rende conto di essere davanti a qualcosa di molto più originale, non tanto nel genere – che abita il territorio del rock e del blues, richiamando le solidità delle strutture musicali di Springsteen e dei Dire Straits con incursioni in un celtic più o meno colto e raffinato – quanto nel fatto che tutti i brani hanno una personalità già ben definita. Insomma, è come incontrare un tale per la prima volta e avere l’impressione di riconoscere una star pur senza averne chiara l’identità. Ora, la cosa che rende questa band degna di attenzione è il loro senso di “divenire”: non è il loro presente che ci affascina, ma il futuro. Avvertiamo un fondo poetico, un intrecciarsi di tensione e bellezza che inducono a pensare che la loro prossima musica sarà ancora meglio di questa. Le incursioni alla Ian Anderson, gli arpeggi country, le dissonanze e le asprezze melodiche che non disturbano mai l’armonia ci dicono che la strada è apertissima a un percorso innovativo che creerà nuove alchimie per le orecchie ed il cuore. Insomma, l’orizzonte di questo esperimento è ben oltre Love & dirty roads, e difficilmente nel giovane rock italiano si avverte questa profondità, specie se unita a una già solida attenzione all’equilibrio formale e strutturale dei pezzi.” http://www.justkidsmagazine.it/2014/01/21/recensione-the-clockers-love-dirty-roads/

Da questa recensione, seppur sia profana in questo settore, avverto che siete sulla strada giusta, che la vostra musica ha quell’unicità difficile da trovare oggi.  E ti chiedo: la voglia di andare avanti, a distanza di anni da questa recensione, l’avete ancora, visto i tempi così difficili in cui viviamo? 

 

R: Chiudi gli occhi e immagina un lupo famelico che ti bracca. Credo che la voglia di andare avanti, esprimendosi in questo genere musicale, non si esaurirà mai. È per me un lupo famelico che non mi dà tregua. Penso costantemente al colore e al profumo inafferrabile del blues e del country blues. Il desiderio di scrivere brani ed entrare in sala di registrazione è inestinguibile. Quelle atmosfere o le alchimie che i The Clockers sanno creare sono una specie di veleno per l’anima… ti braccano proprio come quel lupo e si tatuano sul tuo respiro, sulla tua identità… spesso sul tuo modo di essere.

“Clockers non soltanto una rock band ma un concetto... chi è stato un Clockers sarà sempre un Clockers!” da queste parole credo che tra di voi si sia instaurato non solo un rapporto lavorativo, ma proprio una vera fratellanza quasi un patto di sangue, è così?

 

R: Siamo fratelli per sempre! Chi è stato un Clockers sarà sempre un Clockers, ma non solo chi ha suonato con la band, ma anche chi è legato a noi da una amicizia profonda. Nel corso degli anni molti musicisti si sono avvicendati, alcuni per poche settimane, altri per anni… e quando rientravano anche per poco tempo nel gruppo: erano noi, con noi, per noi. I The Clockers sono un concetto che si esprime in sala di registrazione, a cena, sul palco, nelle difficoltà che ognuno di noi ha… nell’intervento degli altri membri… un oceano non dividerà nessuno di noi.

Se potessi fare una domanda a William Leavitt (ideatore del metodo Berklee) quale sarebbe?

 Se ha mai pensato che il suo metodo potesse aiutare persone dislessiche o con deficit dell’attenzione.

Tra i tanti brani che hai cantato c’è n’è uno a cui sei più legato, e perché?

 


R: Indubbiamente si… Guns and Knives. È la storia della mia infanzia, la mia e quella dei miei amici d’infanzia compreso mio fratello. Siamo nati e cresciuti in quello che al tempo era un quartiere malfamato, una semi periferia piena di droga e delinquenza. Spesso rimango sbalordito al pensiero di come siamo usciti vivi da quel tempo, alcuni di noi non ci sono riusciti. Il brano racconta di come promesse e nascondigli spesso ci hanno salvato la vita.

 


Bruce Springsteen dice: “Il rock, in definitiva, è davvero una fonte d’energia religiosa e mistica. Puoi suonare da schifo e cantare appena meglio, ma se quando suoni per il tuo pubblico insieme agli amici riesci a fare quel rumore, quello che ti esce dal cuore, dalla divinità che c’è in te, dalle viscere, dall’origine infinitesimale dell’universo… allora sì che sei una stella del rock nel vero senso della parola”. Una tua riflessione?

R: Bruce ha ragione. La musica è uno Spirito divino. Uno Spirito che lega qualsiasi compositore, strumentista o cantante. Che tu sia una rock star o no poco conta… conta quello che esprimi, l’anima tua al sevizio dello Spirito divino della musica. Mai mettersi davanti ad Esso. Allora potrai dire agli altri della band o a qualsiasi persona stia per salire su un palco: “Che i dei del rock siano con voi o con noi”. Nessuno nella musica è più grande di un altro. Siamo parte di un grande Spirito: tutti uniti, tutti artisti, tutti colleghi, tutti oltre i tempi che viviamo.

La tua passione per le Sacre Scritture e di conseguenza per la storia, sicuramente ti ha dato modo di vedere le cose sotto altre prospettive.  Questo ha cambiato la tua spiritualità?

R: Assolutamente sì! La spiritualità non può essere ferma ad un concetto statico. Noi non sapremo mai cosa e vero o cosa no senza fare delle grandi esperienze dirette, senza immergersi all’interno di essa per distruggerla, sminuzzarla, trovare incongruenze, follie, bugie, manipolazioni. Chi ama Dio non smetterà mai di cercarlo. Si dannerà per comprendere la singola frase, la singola parola, fino a chiamare Papà il Dio temuto o a divorarlo di domande. Dio non vuole essere trovato, Dio vuole essere cercato è l’unico modo che ha per proteggerti e avvinghiarti a se stesso.

Nelle tue pubblicazioni ho notato un filo conduttore: il dubbio. L’Arbitrio Libero, L’inciampo di Giobbe, Il grande Inganno, Il tranello della Maschera, sono tutti testi dove proponi al lettore una visione differente da quella fino a oggi conosciuta. Cartesio diceva: “Il dubbio è l’inizio della conoscenza.” Forse si sta aprendo davvero aprendo la strada, dopo millenni, a comprendere il vero messaggio del Cristo? La sua vera identità?  Una tua considerazione.

R: Il dubbio, la ricerca e la teorizzazione di avvenimenti alternativi dovrebbero essere alla base di un vero storico o studioso delle Sacre Scritture. Uno dei miei libri si chiama Arbitrio Libero. Il titolo ha un concetto ben diverso dal libero arbitrio a cui normalmente si fa riferimento. Il libero arbitrio, che spesso viene citato, non è libero, bensì è comunque comandato dagli schemi sociali o morali su cui siamo stati formati. Pensate invece se il nostro arbitrio si muovesse su frequenze completamente libere, totalmente legate alla risonanza spirituale che sviluppiamo tuffandoci all’interno di essa. Solo in questo caso il nostro diverrebbe Arbitrio Libero. Tutto però deve avvenire in funzione di una evoluzione verso la realtà ultima e totale e non per il desiderio di anarchia morale.

Lo scrittore e divulgatore scientifico, Isaac Asimov diceva: “Letta correttamente, la Bibbia è per l’ateismo la forza più potente mai concepita.” Un tuo pensiero.

R: La frase di Asimov potrebbe essere letta in due versioni. La prima è che l’ateo troverebbe così paradossale e inverosimile i suoi racconti da accostarli più ad una serie di favole che ad un concetto spirituale. La seconda è che l’ateo stesso potrebbe trovarci la risposta ai suoi grandi misteri. Dal mio punto di vista? Se scoprissimo che soltanto l’1% di ciò che è contenuto nella Bibbia è vero, allora significa che nel suo interno è presente il grande Spirito di un Dio. Fortunatamente l’archeologia ci viene incontro e ci dice che molto della Bibbia non è solo leggenda ma storia.

Nella tua poetica c’è una grande profondità, un’analisi attenta del tuo sentire, si avverte l’esigenza di andare oltre alle prime sensazioni, scavare a fondo in te, nei tuoi sentimenti, una ricerca della tua vera essenza. E qui ti chiedo: vivi la poesia: come uno sfogo terapeutico, personale, un liberarti il cuore, alleggerire lasciando su carta quei pensieri spesso ingombranti che faticano a dissolversi, oppure come esigenza di lasciare un tuo messaggio?

R: È qualcosa che mi divora dall’interno, non riesco a governarla. Sembra come se in me vivesse uno spirito completamente indipendente… così, spesso, mi ritrovo rinchiuso in una stanza buia, con gli auricolari e un brano che guida la vastità degli ossimori o la psichedelica delle figure retoriche che si prendono gioco del mio orgasmo interiore fino a farmi consumare un orgasmo psichedelico e spirituale unico. L’avidità che si spinge fino a mangiarsi tutto di me in pochi attimi di scrittura… come se tutto avesse una sua vita, un suo risvolto anarchico… poi si alza all’altezza dei miei occhi e si prende ogni cosa, lasciandomi in balia di una dispersione nella mia stessa essenza. Esco dalla stanza e posto qualche cavolata su Facebook, rido per finta, faccio scherzi o mi prendo poco sul serio… tutto per non far vedere in che stato mi ha lasciato. Amo la poesia! È il mio respiro, si prende ogni cosa e ogni rivelazione di me stesso. Non so se è un messaggio o uno sfogo… so solo che vive in me in una vita completamente autonoma.

Nel tuo romanzo autobiografico “Racconti psichedelici ma neanche tanto”, racconti di come è nato il disco The Italian Job, che tocca tematiche importanti da non dimenticare. Due parole su questa tua opera.

 

R: È stata un’esperienza straordinaria. Tutto nasce dal ripresentarsi alla mia mente un ricordo di gioventù. Conobbi un vero Brooklyno che con il suo slang mi raccontò la sua vita negli Stati Uniti. Dopo aver scritto il brano furono Angelo Molino e mio fratello Mauro Fiorina a convincermi di scrivere un intero concept album sull’epopea degli italiani in fuga dall’Italia. L’emozione nel ricercare le storie vere, le lettere che scrivevano a casa è stata veramente dirompente. Ho consumato fiumi di lacrime quando leggevo degli italiani in Germania, o dell’uomo che scriveva dall’Uruguay facendo finta di essere ricco. È stata un’esperienza compositiva importante per tutti noi, non soltanto per me che ho scritto i brani, ma ognuno di noi ha messo la sua sensibilità con arrangiamenti e idee… inoltrandosi all’interno di spiriti antichi da non dimenticare mai… gli italiani che fecero il mondo, che si divisero il nulla e dal nulla sono diventati parte di una grande rivoluzione culturale, generata proprio dal loro spirito.



Hai diretto e interpretato: Il lamento di Pilato, Il Tranello della maschera (preso dal Saggio) e Racconti e. Assoli, soggetto basato sul romanzo Racconti psichedelici ma neanche tanto.  Due parole su questa tua esperienza.

R: Il teatro è un meraviglioso amico se ami mettere in scena una dinamica in evoluzione. Quando affronto l’esperienza del teatro, cerco di farlo sempre in forma multimediale, all’interno di un’opera teatrale, dal mio punto di vista, devono essere presenti più arti contemporaneamente, secondo me è l’unico modo per rendere la rappresentazione non schiava di se stessa ma liberà di avere la giusta elasticità. Ciò che ho prodotto e realizzato in teatro è frutto di quell’esigenza di teorizzare e scoprire. Il teatro è un’arte che mi piace molto e voglio che sia lo specchio dei miei racconti.

Tra le tante cose di cui ti occupi sei anche direttore del “Grillo quotidiano”, vuoi spiegare ai nostri lettori di che si tratta?

 R: Si tratta di una testata di opinione. Le notizie che spesso leggiamo in giro sono sempre più false o soggette al ricatto economico di chi possiede la stampa. Ilgrilloquotidiano.it è una voce completamente indipendente che cerca, a tutti i costi, anche a rischio personale, di mettere in scena la verità e mai la farsa che si legge in giro.

 Se dovessi definirti con una sola parola quale sarebbe e perché?

 R: Aperto. Credo che la mente debba essere predisposta a 360° per recepire cosa sia veramente lo Spirito e la vita.

 Progetti futuri?

R: Voglio continuare sempre di più ad immergermi in quei fondali ancora inesplorati. Voglio continuare a scrivere, produrre e pensare ad un nuovo album… voglio fare ancora di più… arrivare oltre me stesso.

 E giungo alla mia ultima domanda, di rito per Oltre Scrittura, quanto conta nella tua vita sognare?

 R: Il sogno è l’anticamera della realtà… mai smettere di essere parte di un sogno o del sogno… e quando lo si è realizzato, sognare di espanderlo senza soluzione di continuità.


Ringraziando Fabio Fiorina per averci rilasciato questa interessante intervista, ricordo che potete seguire Fabio anche qui:

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GRILLO QUOTIDIANO


Ricordo inoltre il suo percorso letterario, trovate i suoi libri a questo link




Commenti

  1. I veri artisti sino quelli che lottano lontano dalle telecamere!
    E come un guerriero chi lotta in silenzio lo fa per sé ma anche per il mondo!
    Bravo Fabio sicuramente leggerò qualcosa 💪💙

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