Intervista a Ilaria Ciancaleonin Bartoli

 A OLTRE SCRITTURA

Ilaria Ciancaleonin Bartoli.

Fondatrice e direttore di Osservatorio malattie rare.

 

Nasciamo tutti con una missione alcune piccole, altre grandiose…

Non importa se le adempiremo fino in fondo, l’importante è perseverare,

 nonostante tutto, verso la propria realizzazione.

 

Amo fare ciò che non è ancora stato fatto”. Con questa sua dichiarazione apro le porte ad una donna che ha contribuito con il suo impegno e dedizione a porre la giusta attenzione sulle “malattie rare” di cui tutti noi abbiamo sentito parlare, fortunatamente non tutti vivono in prima persona la “malattia rara”.  

Ma che cosa si intende per malattia rara?

Una malattia è considerata rara quando ha una prevalenza nella popolazione generale inferiore ad una data soglia, cioè quando pochi soggetti sono affetti dalla patologia in un dato momento. L’Unione Europea definisce tale soglia pari allo 0,05% della popolazione, cioè definisce una malattia rara quando colpisce non più di 5 persone ogni 10.000 abitanti (1 caso ogni 2000 abitanti); l’Italia si attiene a tale definizione.”

Ciò ci porta a pensare ad una patologia che tocca una percentuale minima di persone, e questo da una parte potrebbe essere anche rassicurante: essendo rara le probabilità di contrarla sono minime, ma quando si entra nella sfera dei malati affetti da malattie rare si apre davvero un variegato mondo di problemi, ahimè, non tutti risolvibili.

Rara perciò poco conosciuta, per cui le cure vanno studiate, sperimentate e non sempre si trovano; avere una malattia rara significa avere una patologia di cui non si conoscono sempre le cause e soprattutto gli effetti sulla salute futura. Si va avanti a tentativi; la ricerca in questo svolge una parte molto importante: è l’unico mezzo a oggi per sperare di migliorare la condizione di vita di tante persone affette da malattie rare, sia fisiche che psichiche, a volte mortali, senza possibilità di cura. Oggi ne parliamo con la fondatrice dell’osservatorio delle malattie rare, Ilaria Ciancaleoni Bartoli

Conosciamola meglio

Ilaria Ciancaleoni è una giornalista specializzata in malattie rare, medicina e sanità. Nel 2010 ha fondato Osservatorio Malattie Rare (O.Ma.R) - testata di riferimento per i malati rari e gli stakeholder del settore e nel 2012 ha creato il Premio Giornalistico OMaR per le malattie e i tumori rari. Nel 2013 ha partecipato alla fondazione di Nomos Lab, oggi RareLab, società di comunicazione e Public Relation focalizzata sulle malattie rare e i farmaci orfani. Nel 2016 OMaR sigla una Joint Venture con CREA Sanità e nasce OSSFOR - Osservatorio Farmaci Orfani. Nel 2017 OMaR sigla una partnership con OSSFOR e Intergruppo Parlamentare Malattie Rare e nasce l'Alleanza Malattie Rare, che oggi conta l'adesione di oltre 430 associazioni.
Dal 2018 è Presidente di RareLab. Il 28 febbraio 2023, proprio nel corso della Giornata Mondiale della Malattie Rare, Ilaria Ciancaleoni Bartoli ha ricevuto dal Presidente della Repubblica l'importante onorificenza di Cavaliere dell'Ordine “Al Merito della Repubblica Italiana.  

 

Innanzitutto, grazie di essere qui, in una sua intervista ha dichiarato: “Aiutare chi soffre è sempre stato il mio sogno”. In queste sue parole emerge una grande sensibilità ed empatia verso il prossimo; c’è stato un evento in particolare che l’ha indotta a impegnarsi in questo campo?

Molti credono che mi sia impegnata in questo campo per vicende personali, e non sarebbe stato strano, ma non è andata così. Il primo incontro è stato solo questione di un’occasione di lavoro, subito dopo è diventata una questione di amore: una volta avuto un assaggio del mondo malattie rare non ho più potuto lasciarlo. Ho visto i bisogni delle persone, ma anche dei vantaggi che una maggiore conoscenza avrebbe potuto creare tanto ai pazienti quanto ai medici non ho potuto fare a meno di proseguire su quella strada. Ho visto, 15 anni fa, un mondo vasto che non aveva voce – se non per poche e più strutturare realtà – e che aveva tanto da chiedere, ma anche tante indicazioni da dare, e così ho voluto prestare la mia voce, e dar forza alle loro istanze. Le persone con malattie rare nella mia vita sono entrate dopo.

 

Nel 2010 ha fondato l’Osservatorio delle malattie rare che, per come è strutturato, risulta unico in Italia e in Europa.  Per i non addetti ai lavori, quali sono le vostre attività   principali?



 

La principale attività di OMaR è quella di mettere a disposizione informazioni aggiornate, precise e comprensibili anche a chi non abbia un background scientifico o giuridico. Ci occupiamo infatti non solo della patologia dal punto di vista medico ma anche dei diritti, cerchiamo di dare un supporto ad affrontare la burocrazia a volte molto complessa. Per questo abbiamo anche lo ‘Sportello Legale’ a disposizione dei pazienti, e dei lettori, in modo del tutto gratuito, e questa quindi è una ulteriore attività. Oltre a fare informazione facciamo anche comunicazione, cioè campagna – ad esempio quelle social – o convegni, nel corso dei quali cerchiamo di andare a fondo su alcune tematiche rilevanti. E facciamo anche corsi di formazione per i giornalisti, perché è importante che i colleghi siano aiutati ad affrontare bene temi così complessi.

 

Quali sono a oggi le malattie rare vicine alla cura definitiva?

Far ‘sparire’ una malattia è molto difficile, però in alcuni ambiti ci stiamo arrivando. Ciò sta avvenendo soprattutto per alcune malattie rare genetiche, come le immunodeficienze, alcuni tipi di distrofia retinica, alcune forme di talassemia e di emofilia, l’atrofia muscolare spinale (SMA), e alcuni deficit come quello di AADC o di lipasi.  A permetterci ciò sono le terapie avanzate, che includono non solo le terapie geniche ma anche la rigenerazione cellulare, o le

CAR-T. Queste ultime vengono già usate, anche nel nostro Paese, per alcuni tumori, come mieloma e linfomi, e sono in studio anche per il trattamento di alcune malattie autoimmuni, come il Lupus Eritematoso Sistemico (LES) e la sclerosi multipla.

 

Il 28 febbraio 2023, proprio nel corso della Giornata Mondiale della Malattie Rare ha ricevuto dal Presidente della Repubblica l'importante onorificenza di Cavaliere dell'Ordine “Al Merito della Repubblica Italiana”.  Un ricordo di quel momento.


Il mio ricordo potrei chiamarlo ‘la sindrome dell’impostore’ per due motivi. Intanto perché ero incredula che tra le tante persone che si impegnano per gli altri fossi stata scelta proprio io. E poi perché nel giorno dell’assegnazione dell’onorificenza le persone che come me ricevevano il cavalierato erano per lo più appartenenti alle forze dell’ordine o dipendenti pubblici che venivano premiati a fine carriera, per motivi meritevoli di servizio, ad eccezione di pochi.  Ero una tra le più giovani (si fa per dire), e probabilmente - almeno spero – una delle poche a non essere a ‘fine carriera’… di cose da fare ne ho ancora tante!

 

Quale consiglio darebbe ad una famiglia che scopre che il proprio figlio o figlia è affetto da malattia rara?

Calma. Una diagnosi del genere non è mai un bel momento, e non è una bella notizia. È normale essere presi dalla paura all’inizio, dalla frenesia di sapere, fare, ma bisogna affrontare le cose una alla volta. Intanto già avere la diagnosi significa aver superato uno degli scogli più grandi per i malati rari. A quel punto bisogna trovare un centro di riferimento per quella patologia, lo si può trovare su Orphanet, ad esempio, o anche scrivendo a OMaR, oppure contattando una associazione che si occupa della specifica malattia, non per tutte esistono ma per moltissime sì e prendere contatti è sempre utile. Spesso le associazioni sono fatte da altri genitori che hanno già vissuto quel percorso e possono dare suggerimenti utili anche per affrontare le questioni di certificazioni e diritti, che lì per lì non sembrano importanti – davanti all’urgenza della malattia – ma che invece lo diventeranno presto per ottenere ciò che serve, e a cui si ha diritto. Non bisogna mai aver paura di chiedere aiuto, magari anche un supporto psicologico, perché la prima fase dell’accettazione è dura, ma è importante che venga vissuta nel modo giusto, per tutta la famiglia.

 Nella mia esperienza personale mi sono spesso sentita dire tentiamo con questo farmaco, seppur non è specifico per la malattia rara di suo figlio, ecc.  Qui entrano in campo i famosi “farmaci Orfani”. Le va di spiegarci in poche parole cosa sono?

 I farmaci orfani sono farmaci sviluppati appositamente per malattie rare e spesso vengono approvati seguendo degli iter che cercano di facilitarli, altrimenti sarebbe davvero svantaggioso svilupparli per pochissime persone. Ovviamente queste facilitazioni sono economiche e di procedure, ma non fanno sconti alla sicurezza della terapia. Si tratta quindi di farmaci specifici, ma le malattie rare note sono circa 10.000 e i farmaci orfani poche centinaia. Questo vuol dire che ancora oggi per tante malattie rare non si possono usare farci specifici, spesso si usano farmaco sintomatici e talvolta si ricorre ad altri farmaci approvati con un uso off label, cioè ‘al di fuori dell’indicazione’, ma è una cosa che va fatta su indicazione del medico, che deve essere autorizzata e controllata, con i farmaci non si scherza. E quindi assolutamente no al fai da te, no a finire nelle mani di chi al di fuori del sistema sanitario promette miracoli a pagamento, no a dire ‘proviamo qualsiasi cosa’, perché si potrebbe anche fare un danno ulteriore.

 Ma non tutte le patologie oggi definite rare hanno il loro farmaco. Ci arriveremo?

Vorrei essere ottimista ma credo che sia difficile. Ne avremo sicuramente sempre di più, ne avremo anche di più efficaci e definitivi – come le terapie geniche – ma l’idea che possa esserci la cura ad hoc per ognuna delle 10.000 malattie note è qualcosa che possiamo sperare, ma solo lontano nel tempo. Non solo perché ci vorrebbero enormi investimenti, ma anche perché tante malattie devono ancora essere ben comprese. Quello che invece si può e si deve ottenere è avere una presa in carico adeguata per ogni persona con malattia rara, e la presa in carico è diagnosi, è assistenza, è inclusione, è supporto al caregiver, è diritto ad una adeguata mobilità, all’istruzione, a fare i controlli necessari nei tempi dovuti: è tutto ciò che non toglie la malattia ma migliora la qualità della vita.

 

Ci sono malattie rare degenerative e invalidanti, altre invece che colpiscono la psiche e di conseguenza la relazione sociale è quasi assente. In entrambi i casi la società, innanzi a soggetti fragili, prova compassione e nel contempo timore e, visto le barriere architettoniche e soprattutto mentali esistenti, si tende ad allontanare i soggetti malati. L’inclusione non sempre è contemplata. Una sua considerazione.

 

È vero, è così, ma non possiamo passivamente accettarlo e oguno di noi può fare qualcosa, ognuno di noi ha la sua piccola barriera mentale da abbattere. Noi negli ultimi anni ci abbiamo provato sia con la campagna “RareSide” che con la campagna “Basta essere pazienti”.
Abbiamo provato a parlare di persone, prima di tutto, e di vite concrete. Faccio un esempio: se una persona ha una disabilità che le impedisce di nutrirsi con cibo ‘comune’, il non invitarlo ad una cena di compleanno non è una ‘delicatezza nei suoi confronti’, è un toglierli la possibilità di decidere, di organizzarsi, di stare comunque in compagnia. È un esempio banale, ma la quotidianità è fatta di una somma di piccole cose. Poi ovviamente ci sono le grandi questioni: il pensare le persone con disabilità come asessuate – pensate che spesso gli studi ginecologici non sono attrezzati per chi è in sedia a rotelle – per non parlare poi del diritto allo studio, che in teoria c’è ma in pratica le difficoltà sono enormi se la persona ha bisogno di assistenza, tanto più se ha bisogno di assumere farmaci nelle ore scolastiche.

 

“La coscienza di esser malati è il primo sintomo di guarigione". Spesso accettare di essere affetto da malattia rara non è per nulla facile né per il malato né per la sua famiglia. Una sua riflessione in merito.

 

Ogni persona è a parte, ogni caso è differente: per alcuni è più facile accettare il fatto di avere una malattia, per altri molto meno. Sono tante le cose che fanno la differenza, un conto è se con una malattia sei nato, ci sei cresciuto, con quella hai sviluppato la tua identità e la tua vita. Un contro è se la malattia arriva all’improvviso, magari nell’adolescenza che è una fase delicata, o magari quando si è da poco diventati genitori. E poi ci sono le malattie che si vedono, che non è proprio possibile nascondere, e quelle che ci sono ma non si vedono e che a volte anche gli altri fanno fatica a capire. Ma c’è una cosa che bisogna tener presente in tutti i casi, non si è pazienti, non si è ‘malati’ e basta, si è persone con una malattia…e tante altre cose. Si è prima di tutto persone, individui, c’è chi è più ironico e chi è più serio, chi ama studiare e chi no, chi ama lo sport e chi no. Non possiamo vivere di stereotipi, ma ce ne sono tanti. Anni fa il ‘malato’ o ‘disabile’ era qualcuno che stava a casa davanti alla tv, oggi sembra che se non si fanno gesta eroiche o non si diventa atleti paralimpici venga meno la dignità di malato. Ma non va bene in nessun caso, perché perdiamo di vista le persone: e quelle persone con o senza malattia magari sarebbero state comunque degli sportivi o avrebbero comunque amato starsene a casa a leggere un libro o vedere un film, ma differenza la fa prima di tutto la persona, la malattia è un elemento, che influenza e molto, ma non riassume chi siamo.

 

Se potesse viaggiare nel futuro e trovare la cura per una patologia rara, quale sarebbe?


È una domanda difficile, fosse per me le troverei per tutte senza esclusioni. Però a doverne proprio scegliere una troverei la cura per la malattia di Huntington, una patologia genetica ereditaria i cui sintomi sono vari e poco specifici, e aumentano nel tempo. Difficoltà motorie, depressione e problemi comportamentali, sintomi psichiatrici e manie, disfagia e declino fisico e cognitivo. Le famiglie colpite da questa malattia spesso hanno uno o più componenti affetti: i caregiver – che poi spesso sono i familiari, i figli, le mogli – hanno un carico enorme e difficile. Perché quando la patologia tocca solo la sfera fisica in qualche modo il nostro sistema viene in aiuto, ma là dove c’è un interessamento psichiatrico - ad eccezione che per le demenze degli anziani – spesso mancano le strutture, le figure di riferimento non vengono coinvolte adeguatamente, e le persone sono sole a gestire malati che possono essere molto difficili, soprattutto se non hanno la consapevolezza dei propri comportamenti, come spesso accade in questa patologia.

 

Quando la cura non esiste la fede la speranza possono aiutare; qual è il suo rapporto con la spiritualità?

La persona umana non è solo il suo corpo, questo è chiaro. Siamo ciò che pensiamo, siamo le nostre emozioni, il modo in cui si affronta la vita – e anche la malattia, inclusa l’idea della morte – è influenzato dal nostro atteggiamento. La speranza è fondamentale, ma è una cosa diversa dall’illudersi o dal rimanere passivi in attesa di un miracolo. La speranza è anche darsi piccolo obietti e cercare di raggiungerli, e naturalmente è anche sperare in una terapia in arrivo, ma senza affidare tutto a quello, perché è al di fuori del nostro controllo. La fede può far parte del nostro modo di essere, può essere una fede religiosa, qualsiasi sia il credo, o la fede intesa come fiducia nelle persone che ci sono intorno, o nelle capacità che abbiamo, anche se alcune sono ridotte dalla malattia. Per quanto mi riguarda la mia ‘fede’ è nella motivazione, ciò che mi spinge a trattare tematiche dolorose, che entrano costantemente nelle mie giornate, è la fiducia e la speranza di poter far qualcosa di buono e di utile, questo allevia la fatica di vivere costantemente a contatto con la malattia.

 

Progetti futuri?


Al momento siamo molto impegnati con i malati rari, perché c’è tantissimo da fare, però chissà prima o poi ci dedicheremo a dar voce anche a qualche altra comunità che ‘non ne ha’ o non ne ha abbastanza. Fino ad ora sono stati i ‘rari’, poi chissà...

 

Si definisca in una sola parola.


Sono passionale, nel senso che mi appassiono alle cose e voglio conoscerle sempre meglio, e questa passione mi dà la spinta di andare sempre avanti, di essere curiosa, di trovare anche soluzioni creative ai problemi.

 

Un sogno nel cassetto?


Con OMaR ho già realizzato il mio sogno di fare la giornalista e di farlo occupandomi di qualche cosa di utile, mi sento già molto fortunata. Però, volendo mettere un ‘sogno’ perché non osare: una laurea ‘Honoris causa’ in Medicina, possibilmente in vita per poterne gioire e anche scherzaci un po’.



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