La Leggenda del Santo bevitore di Joseph Roth. Recensione a cura di Monica Pasero
E se la vita ti portasse a credere che i
miracoli esistano? Ti aprisse possibilità impensate, fino a qualche istante
prima? Ti spronasse ad un nuovo destino o la parvenza di ciò che potrebbe
divenire la tua vita, se solo facessi altre scelte! Se usassi il tuo tempo in
modo diverso ed evadessi dalla tua schiavitù, dai tuoi vizi aprendo la mente a
valorizzarti, a trovare nella tua persona altre potenzialità oltre a quelle di
distruggerti.
Ecco, in questa narrazione l’autore con una
novella semplice, ma davvero di grande rilevanza morale, ce lo racconta e ci
induce alla speranza; portandoci a comprendere quanto la natura
umana sia debole e condizionabile.
E seppur la vita, per fortuna o per miracolo, ci
conceda innumerevoli possibilità di redimerci, rimetterci in carreggiata,
rialzarci... qualcosa di più forte ci trattiene a terra nel nostro marasma
esistenziale, calamitati verso il baratro.
L’uomo è schiavo per natura o lo diviene per
sua volontà? Domanda che mi sono posta leggendo questo testo in cui si
evidenzia, appunto, la debolezza umana; la dipendenza che impone la nostra
mente a perdere il senso del nostro vero bene.
La schiavitù diviene sia fisica sia psicologica
e, subdola, ci porta a dipendere da necessità prettamente materiali e
fisiologiche, come in questo caso il “bere”. La necessità dell’ubriacarsi che
parte sempre come un atto consolatorio: si beve per non pensare, per annebbiare
il ricordo, per rendere illusoria la realtà e dimenticare per un po’ i
problemi, in cui siamo sprofondati, ma appena una parvenza di lucidità
s’impone, in noi, ecco che ogni problema, che pensavamo dimenticato, è lì ed ancora più grande e noi sempre più
deboli per affrontarlo.
Nella leggenda del Santo bevitore ci imbattiamo
in Andreas un ubriacone che vive sotto i ponti della Senna. Andreas verrà in
qualche modo indotto a vivere il suo ultimo pezzo di strada in modo miracoloso;
la fiducia nei miracoli futuri o la sconsideratezza di non tutelare quel poco
che gli viene offerto, porteranno l’uomo ad imbattersi in personaggi e
situazioni alquanto singolari che lo aiuteranno a comprendere
inconsapevolmente i suoi sbagli. Andreas si approprierà, in qualche modo,
dell’entusiasmo del vivere, dell’esigenza di riprendere in mano la propria
esistenza e cambiarla, ma i vizi sono duri a morire e quando uno cade nella
loro trappola è davvero difficile uscirne illesi.
Andreas, nel suo percorso di rinascita,
varcherà due luoghi: in uno troverà la speranza, dove tutto è ancora possibile;
la voglia di cambiare di riprendersi la propria vita. Nell’altro
annasperà nella dipendenza, nel vizio che diviene schiavitù.
La narrazione avrà per filo conduttore una
promessa, un debito da assolvere a favore della piccola Santa Thèrèse che ci
condurrà all’epilogo di questa vicenda.
Un epilogo inaspettato, a mio parere, ma
consono alla narrazione. Un’opera che unisce alla debolezza umana, la fede e la
voglia di rivalsa. Una storia che insegna quanto tutto può nascere o morire a
secondo della nostra volontà.
Buona lettura. Consigliato,
Monica Pasero
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